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Mediaset, Enel, Tim, Cdp e governo, dopo il cambio apicale in Open Fiber
L’ uscita anticipata di Tommaso Pompei dalla sala di comando di Open Fiber è il segnale che la partita della fibra ottica tra Tim e la joint venture Enel-Cdp è arrivata a una svolta. E non è una partita che coinvolga i soli tre protagonisti diretti. Spettatori interessatissimi sono infatti anche le altre telco, Vodafone e Wind3 in prima linea, e a seguire anche il nuovo entrante Iliad, le banche, tutto l’indotto dei fornitori di sistemi. E sopra tutti il governo. E infine la famiglia Berlusconi, perché tutte le scelte che coinvolgono Tim hanno un riflesso potenziale nella partita che si sta giocando tra Arcore e Parigi, tra Mediaset e la Vivendi di Vincent Bolloré che controlla Tim.
Insomma, attorno alla banda ultralarga si gioca una delle più complicate vicende industrial-politiche di questi anni. E’ una scacchiera che può ospitare strategie e mosse diversissime e quasi infinite. Dipende da chi muove gli scacchi e dagli obiettivi di ciascuno dei giocatori. L’ad Francesco Starace, riconfermato appena a maggio scorso per una altro triennio, ha due convinzioni. Che non ha alcuna intenzione di cedere il suo 50% di Open Fiber e che due reti in fibra, almeno nelle zone a successo di mercato non sono uno scandalo.
Non più di quanto non lo siano le reti di distribuzione elettrica di altre utility in concorrenza con quella Enel (anche se in questo caso non coesistono sugli stessi territori). Insomma, non vuole uscire da Of e non è interessato nemmeno a prendersi la rete di Tim. O almeno così dice. Ma comunque sia, per giocare questa partita da protagonista (tanto più che fino al 2020 la governance della joint venture con Cdp assegna a lui la scelta di chi deve stare al timone di Of) oggi non ha che una sola mossa: accelerare sui cantieri. Finora, sotto la guida di Pompei, Of ha incassato tutto il possibile: Metroweb, le gare Infratel (ne mancherebbe una ma è poca cosa), l’accordo con Acea, ossia la “conquista” di Roma. Ora deve far fruttare tutto questo potenziale. Fermarsi adesso non può.
Of è appena partita, l’unica città completa nel piano del cablaggio è Milano, ereditata da Metroweb. Ora ci sono cantieri aperti nelle 13 maggiori città italiane, nelle prime cinque i lavori sono già oltre il 50% e sui nuovi cavi ottici iniziano a passare i primi abbonati delle telco che hanno fatto accordi con Of: dai big come Vodafone e Wind ai piccoli operatori locali. Ma ora bisogna andare avanti. Per dare due numeri: l’accordo con Wind è un impegno su 271 comuni. La vittoria nelle gare Infratel impone di connetterne in fibra altri 6.700. Bisogna aprire cantieri, impegnare risorse in estenuanti trattative con le amministrazioni locali. Soprattutto bisogna convincere le banche a sostenere un project financing da 6 miliardi che richiede risorse di finanziamento per 3,7 miliardi e in tempi rapidi, perché la scommessa è qui: i ritorni sono sicuri, nel tempo, ma i soldi vanno spesi subito, ora. Ed è proprio per convincere le banche che è stato messo in cantiere il cambio della guardia al vertice di Of. L’impegno di Pompei con l’Enel sarebbe scaduto a fine novembre, tra dieci giorni, e quello come ad di Open Fiber a fine dicembre. Tutto era già programmato, si dice ora in ambienti vicini al vertice Enel, e anche la scelta di Elisabetta Ripa sarebbe stata già deciso addirittura nella scorsa primavera. Le banche, a partire dai tre advisor Bnp Paribas, Société Générale e UniCredit, avrebbero richiesto un management stabile come condizione ineludibile. Ora ce l’hanno.
Resta per ora un punto interrogativo. Troppe volte il presidente di Of Franco Bassanini si è espresso in termini molto espliciti in favore di un’unica rete e contro uno scenario di competizione tra la rete Of e quella di Tim. E quasi sempre, dall’esterno, si è applicato l’automatismo di considerare queste posizioni come transitivamente riferibili anche all’istituto guidato da Claudio Costamagna e Fabio Gallia. Ma non è detto che sia così. Anzi, forse, l’assenza di dichiarazioni esplicite potrebbe iniziare a far dubitare del contrario. Comunque le esternazioni di Bassanini, in parallelo con le nuove fiammate polemiche sullo scorporo della rete Tim espresse in funzione anti-Bolloré, mentre producevano manifesto fastidio in casa Enel, non dovrebbero essere troppo dispiaciute nel palazzone della Cdp, proprio accanto al ministero dell’Economia, perché, ne consolida la presenza e il ruolo su tavoli importanti.
Diverso dire che l’uscita di Pompei dal board di Of sia automaticamente un rafforzamento della Cassa. Elisabetta Ripa ha infatti operato una specie di cambio di casacca: entrata in cda in quota Cdp, diventerà ad dal primo gennaio 2018 in quota Enel. E infatti sarà proprio Cdp a nominare il membro mancante del board perché formalmente è la Cassa ad essere rimasta senza un rappresentante dei suoi tre, accanto a Guido Rivolta e lo stesso Bassanini. Si potrebbe pensare che con Ripa, vista la sua provenienza, Cdp ne abbia ora quattro di “uomini”, ma mentre il Dna di via Goito per Rivolta e Bassanini non si discute, per Ripa non è così. Quando venne nominata, veniva considerata piuttosto un’esterna, visto che ha passato 26 anni in Telecom, nell’investor relation, poi in ruoli di gestione e infine come ad di Sparkle prima e di Telecom Argentina poi. Comunque sia, Cdp non può che restare alla finestra in attesa di capire se verrà chiamata a giocare un ruolo nella soluzione della controversia Vivendi-Mediaset. Un ruolo che può oscillare dal diventare azionista di peso (e di solida contribuzione) di una ipotetica società unica della rete, fino al semplice ruolo di titolare di una quota minima di garanzia (e di scarso impegno) in un nuovo azionariato Tim, qualunque esso sia.
Il primo rilievo potrebbe essere: quale? Quello di oggi, che scadrà tra qualche mese o il prossimo? Quello odierno, filiazione diretta del governo Renzi, ha interesse a che Open Fiber vada avanti così e rapidamente. In fondo quella sulla fibra è stata una delle poche promesse mantenute da Renzi a Palazzo Chigi. E di fatto è innegabile che la mossa a sorpresa, due anni fa, di creare quella che allora si chiamava ancora Enel Open Fiber sia riuscita in quella che sembrava una missione impossibile: far tornare Telecom Italia ad investire in cavi ottici dopo più di 15 anni. Era infatti dalla privatizzazione, con il susseguirsi di nocciolini, capitani, scalate e patti di sindacato che il primo problema della telco non era più investire ma ridurre il debito (senza diminuire troppo i dividendi). Certo, dall’altra parte c’è che la possibilità di far tornare sotto l’ala dello Stato Padrone un boccone come la rete Telecom è un argomento che trova sempre un interesse maggioritario e trasversale a tutta la politica italiana.
Ma un conto sono le tentazioni e un conto i soldi a disposizione. E oggi, all’avvio di una campagna elettorale lunga e complicata, forse è meglio dare a Enel e Of un po’ di briglia di aprire cantieri e andare avanti con il progetto. E infatti già nel prossimo bando per il 5G da Palazzo Chigi si pensa di trovare il modo di far entrare Of nella partita. Per esempio inserendo una figura, quella del Neutral Host, ossia di operatore di rete che non offre il servizio a utenti e imprese ma ad altre telco. Cosa che finora nel mondo del mobile non c’è mai stata ed è esattamente ciò che Of fa sulla rete fissa. Diverso invece il caso del prossimo governo. Se dovesse essere a trazione berlusconiana, chiunque sarà il premier, sarà sensibile a ciò che sarà intanto avvenuto ad Arcore. E di cui si dirà tra poco.
Il nuovo ad di Telecom Amos Genish al contrario di Flavio Cattaneo sta conquistando, dopo il timone, anche il cuore della vecchia holding telefonica, dai manager ai dirigenti e più giù. Come ogni nuovo ad la sua prima trimestrale, dove ha messo la firma in fondo ma non le scelte, ha fatto emergere risultati in flessione. Ma questo è un classico. Viene considerata persona preparata sul piano industriale e dialogante. La persona giusta per ricucire con le istituzione e l’establishment italiano. Questo non gli ha impedito di rispondere per le rime a Franco Bassanini che mercoledì ha ribadito la sua idea che Tim non possa investire sulla fibra perché così svaluta il rame che è ancora la maggior parte della sua rete di accesso. Questo invece è proprio quanto Genish ha dichiarato di voler fare: ossia accelerare la migrazione, a costo di finanziarla, che vuol dire, passaggio gratuito e automatico dall’adsl alla fibra per tutti gli utenti. Certo, sembra si riferisse solo alla fibra che si ferma agli armadi e non alla fibra fino in casa, ma è comunque la volontà di rispondere alla gara con Open Fiber (perché di gara si tratta, a chi arriverà per primo da ogni singolo utente) abbandonando la strada dell’ostruzionismo regolamentare e dei ricorsi.
Va però detto che all’Antitrust pende un ricorso, stavolta presentato da Vodafone, contro una cosa simile già provata da Cattaneo: offrire la fibra senza costi aggiuntivi per conquistare utenti. L’Antitrust deve ancora pronunciarsi ma allo stato attuale delle regole Telecom deve garantire la replicabilità delle sue offerte e l’iniziativa, in questi termini , non dovrebbe passare il vaglio. Ma la vera novità avanzata da Genish è nella dichiarazione di essere pronto ad utilizzare la rete di Open Fiber quando lo riterrà opportuno e conveniente. Tradotto: nelle zone bianche dove Tim ha perso la gara non si dissanguerà per realizzare una rete alternativa sua, come aveva detto Cattaneo. E questa è una buona notizia per azionisti e investitori. Sul piano industriale Genish ha dunque fatto chiarezza. Il resto non dipende da lui. Dalla decisione dell’Amf, la Consob francese, se Vivendi controlla o meno Telecom, fino ad un eventuale accordo Berlusconi-Bolloré.
Pare che tra l’ex Cavaliere, candidato premier ombra del centro-destra, e il patron di Vivendi sia riscoppiata la pace. O almeno la voglia di farla. E pure in fretta, perché l’appuntamento dell’asta per la Serie A non può essere rinviata all’infinito e si dovrà svolgere prima del voto politico di primavera, perché il nuovo triennio di diritti partirà solo pochi mesi dopo. Questo dicono le voci che arrivano da ambienti e persone vicine al leader di Arcore. Che poi tutto questo porti solo alla soluzione del caso Premium o invece arrivi fino ad un consistente ingresso “ufficiale” di Vivendi in Mediaset è tutto da vedere. Oggi Bollorè può tenersi Telecom sterilizzando le sue azioni Mediaset. Cosa potrebbe accadere dopo è in mente dei, e degli avvocati dei due tycoon. A tutto questo si intreccia poi l’ipotesi di un nuovo governo in cui Silvio Berlusconi avrebbe un peso decisivo: che decisioni porterebbe sulla banda ultralarga? Difficile divinarlo oggi. Ma c’è chi giura di aver sentito Berlusconi dire che il caso di Tim e Open Fiber gli ricorda quello delle prime pay tv in Italia: Telepiù e Stream, anche allora una pubblica e una privata, una italiana e una francese. Vuol dire che non c’era spazio per due su quel mercato. E infatti arrivò. Sky. Peccato Silvio dimentichi che Premium era nata proprio per fare concorrenza a Sky. O forse lo ricorda fin troppo bene.
Fonte: La Repubblica Affari & Finanza
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