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Uno dei club più blasonati d’Italia, finito nelle mani di sconosciuti, grazie ad advisor e consulenti.
Come è possibile che un perfetto sconosciuto si sia preso il Milan? La risposta più credibile arriva da un ex banchiere passato al private equity: “Business is business. Un’operazione da 740 milioni, debiti compresi, genera commissioni milionarie per tutti. La volontà è sempre quella di chiudere”. Quello che conta davvero quindi è incassare una cifra tra l’1 e il 3% dell’operazione nel rispetto della legge e della compliance: scoprire chi fosse davvero Yonghong Li probabilmente non sarebbe convenuto a nessuno.
Silvio Berlusconi aveva promesso di lasciare il Milan in mani più forti delle sue, così non è stato. Perché? Probabilmente perché la priorità di Fininvest era quella di incassare 520 milioni di euro in contanti, chiudere 220 milioni di euro di debiti e rientrare dei quasi 90 milioni di euro spesi per la gestione ordinaria del club da agosto 2016 ad aprile di quest’anno. Anche perché l’estate 2016 è quella in cui la vita dell’ex premier sembra appesa a un filo: viene operato a cuore aperto e qualcuno teme che possa non riprendersi più. Vendere il Milan è allora fondamentale per evitare tensioni in famiglia.
Business Insider Italia ha provato a contattare tutti gli advisor coinvolti nell’affare, ma nessuno ha voluto rispondere. Rothschild che ha seguito i cinesi si è limitata a un secco “no comment”, così come lo studio Chiomenti che dopo aver curato la parte legale per Fininvest ci ha fatto sapere di non volere rilasciare “alcun commento, come da prassi su tutte le operazioni su cui è coinvolto”. Lo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli – advisor legale dei cinesi – non ha mai risposto alla nostra richiesta di chiarimenti – sebbene l’avvocato Cappelli sieda nel cda Milan -, così come Lazard (advisor finanziario di Finivest). Nessun commento neppure da Giacomo Ridella, il 34enne notaio genovese che ha autenticato l’atto.
Da un punto di vista formale, contestare il lavoro fatto dai professionisti è impossibile: il venditore ha fornito tutti i numeri a sua disposizione; il compratore li ha studiati e ha messo insieme – con fatica – la cifra richiesta. Con un piccolo sforzo in più, però, si sarebbe potuto scoprire chi fosse Yonghong Li: bastava interrogare a fondo le banche dati cinesi per verificare come le miniere di fosforo non fossero del broker cinese. Una ricerca approfondita costa qualche migliaia di euro.
Di certo non ci si poteva aspettare che fosse Marco Fassone a interrogarsi sull’identità del suo nuovo datore di lavoro: con l’uscita di scena di Sal Galatioto e Nicolas Gancikoff, il manager piemontese si è trovato promosso da direttore generale ad amministratore delegato. Un’occasione imperdibile dopo una lunga gavetta in giro per l’Italia. Eppure qualche sospetto sarebbe dovuto venire anche a lui. Per chiudere un’operazione del genere servono settimane se non mesi di due diligence, invece, dall’uscita allo scoperto di Yonghong Li alla firma del preliminare passano giorni.
I capofila della cordata sono stati a lungo Galatioto e Gancikoff che all’improvviso escono di scena. Perché? Dopo mesi di trattative i cinesi tentennano, mostrano di non avere tutte le garanzie necessarie a chiudere l’operazione. Galatioto chiede chiarezza sulla reale capienza di Li perché le notizie da Pechino non sono per nulla rassicuranti. Di fronte al silenzio del broker decide di prenderne le distanze. A questo punto Fininvest si trova davanti due potenziali acquirenti: l’advisor americano con un track record pubblico e riconosciuto; un cinese ignoto.
La scelta parrebbe scontata, invece, in via Paleocapa danno la precedenza allo sconosciuto. Dal punto di vista economico la motivazione non fa una piega: il misterioso broker non chiede sconti; accette tutte le manleve chieste per Fininvest e i dirigenti del Milan e – soprattutto – si presenta con una caparra da 100 milioni. La scelta, però, è in controtendenza rispetto alla promessa di Berlusconi. Ma, come detto, ad Arcore il momento è delicato, così la reale identità di Li passa in secondo piano.
Succede tutto in pochi giorni: Galatioto viene messo alla porta il 20 luglio e il 5 agosto Yonghong Li firma un accordo preliminare presentando una lista di azionisti che mai si paleseranno. “Non ci sono stati i tempi tecnici per verificare i numeri – nota un altro banchiere -. La spiegazione potrebbe essere quella di aver usato lo stesso piano di Galatioto” che però non ha nulla in comune con quello che sta portando avanti Fassone.
A dissipare ogni dubbio sarebbe bastata una ricerca su Mister Li che ha scelto di non smentire alcune delle ricostruzioni che lo riguardano. Anche per questo, prima del closing, lo storico difensore di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, ha esibito alla procura di Milano il fascicolo “lecita provenienza dei fondi” per mettersi al riparo da possibili guai futuri. Eppure le domande senza risposte restano molte: come può una società con flussi di cassa negativi onorare un debito da centinaia di milioni di euro con tassi d’interesse superiori al 10%? Quale banca o fondo americano sarebbe disposto a rifinanziare il Milan e mister Li dopo l’inchiesta del New York Times? Che ruolo ha Xu Renshuo, il cinese in cda legato ad Hainan (società invisa al governo)?
Oltre a Fininvest, però, l’affare vero sembra averlo fatto Elliott che con 300 milioni di euro rischia di portarsi a casa il Milan: “Probabilmente – suggerisce il banchiere – ha già qualcuno a cui rivenderlo per 350-400 milioni di euro altrimenti non avrebbe mai prestato soldi a un soggetto che ad oggi non ha dimostrato la possibilità di onorare il proprio debito”. E in questo caso l’uomo forte è Paolo Scaroni: fedelissimo di Silvio Berlusconi, vice presidente di Rothschild e consigliere del Milan in quota a Elliott.
Fonte: Business Insider
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