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Valore oltre gli 11mila dollari. Ma si tratta ancora di un investimento ad alto rischio.
Vale ormai oltre 190 miliardi di dollari. L’ultimo rally del Bitcoin oltre il muro degli 11mila dollari (https://www.coindesk.com/price/), ha portato la capitalizzazione della regina delle criptovalute oltre quella di aziende come Disney, o McDonald’s o il colosso farmaceutico Merck & Co. Una spinta determinata da vari fattori, tra cui l’apertura sulla piattaforma Coinbase, il più grande exchange degli Stati Uniti, di oltre 100 mila nuovi portafogli digitali tra il 22 e il 24 novembre, portando il totale a oltre 13 milioni di conti. Ma la corsa rialzista, con i prezzi decuplicati nel volgere di un anno, secondo diversi operatori è destinata a proseguire ancora. Anche perché, come sottolinea Swissquote, nonostante i grossi investitori istituzionali abbiano già messo un piede nel settore delle crypto, il flusso di denaro di questa provenienza è ben lontano dall’aver raggiunto livelli di equilibrio in quanti grossi big player non si sono ancora mossi.
La giapponese bitFlyer, ad esempio, che è l’operatore del maggiore mercato di scambi del Bitcoin, ha aperto anche negli Stati Uniti lanciando la sua piattaforma americana che punta ad attirare gli investitori istituzionali. Ha ottenuto il via libera del Dipartimento dei Servizi Finanziari dello stato di New York per operare come piattaforma di scambio della valuta virtuale. Inoltre, il mercato è in attesa dei primi futures sulla criptovaluta da parte del Chicago Mercantile Exchange (Cme) e del Chicago Board of Options Exchange (Cboe) che faranno salitre ulterirormente la possibilità di investire sulla regina delle criptovalute bypassando in parte il limite ‘tecnologico’ dell’algoritmo alla base dei Bitcoin, cioè il tetto dei 21 milioni di pezzi producibili (minabili, in gergo). Al momento sul mercato ce ne sono 16,7 milioni. Tra l’altro, il ‘mining’, cioè il sistema utilizzato per emettere bitcoin attraverso la potenza di calcolo di moltissimi computer sparsi per il globo, richiede moltissima energia: 30 terawattora all’anno, più dell’Irlanda.
Il paragone con lo scoppio della dot.com-bubble nel marzo 2000 viene naturale, ma le cifre sono ancora lontane: prima dello scoppio della bolla tecnologica il Nasdaq capitalizzava 6,7 trillioni di dollari mentre ora la capitalizzazione delle criptovalute si ferma a soli 343 miliardi di dollari. Più cresce la fama, più crescono i timori. E i detrattori. Se il nobel Stiglitz è arrivato a dire che dovrebbe essere vietato, la Banca d’Italia ha dottolineato che bitcoin e le criptovalute sono delle “attività, dei contratti, vulnerabili a crisi di sfiducia che possono essere repentine”. Il vice dg della Banca d’Italia Fabio Panetta ha evidenziato anche l’impossibilità dei controlli per le autorità bancarie: non “abbiamo nessuna visibilità sul volume delle transazioni tranne quanto vengono convertite in euro ma queste sono la ‘punta dell’iceberg'”.
La Turchia prova a mettereli ufficialmente al bando con una sorta di Fatwa. L’uso del Bitcoin è peccato a causa del suo carattere speculativo, stabilisce il Diyanet, l’organo statale che in Turchia agisce come un ministero degli Affari religiosi. Non è cioè conforme ai dettami dell’islma perché “il suo guadagnare e perdere valore apre alla speculazione e perché si può utilizzare facilmente per il riciclaggio di denaro e per altre attività illecite, dal momento che è lontano dalla supervisione del governo”.
Fonte: Quotidiano.net
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