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Trump: le ambasciate americane promuoveranno
(Il Sole 24 Ore) NEW YORK – Le vendite di armi quale grande strumento di politica economica, commerciale e estera. Non un’idea esattamente nuova, ma che Donald Trump intende far propria e rilanciare senza remore come pochi altri hanno osato fare nella storia recente. Per parafrasare una delle sue ultime battute, il presidente americano sembra aver deciso di dar fondo alla sua vantata genialità di uomo d’affari a prezzo della stabilità, non la propria, altrettanto rivendicata, ma quella del resto del mondo di cui si cura assai meno. Si appresta infatti a ordinare la conversione di fatto delle ambasciate statunitensi ai quattro angoli del pianeta in gloriose “showroom” della potenza degli arsenali bellici made in Usa. Arsenali in cerca di acquirenti.
Trump vestirà il suo esercito di attachè commerciali, militari e diplomatici, di funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono, con i panni di convincenti imbonitori al servizio delle grandi aziende di Washington che sfornano missili, droni e quant’altro di letale venga prodotto in patria. Con buona pace delle preoccupazioni dei più stretti alleati quali la Nato, o ancor più dei diritti umani e di chi denuncia il rischio che, con clienti men che affidabili, sofisticati ordigni sempre più diffusi possano cadere in mani non proprio amiche.
La nuova strategia, portata alla luce da Reuters, è allo stadio preliminare ma appare ormai delineata nelle linee guida e il sipario formale dovrebbe essere sollevato entro febbraio. «Vogliamo vedere questi signori, gli attaché commerciali e militari, liberi di agire da venditori, da promotori», ha dichiarato senza mezzi termini un esponente senior dell’amministrazione.
Non importa che i grandi fornitori del Pentagono già abbiano business da vendere, da Boeing a Lockheed Martin, da General Dynamics a Raytheon e Northrop Grumman. Che già sotto l’amministrazione di Barack Obama avessero brillato grazie a cordoni comunque allentati dei controlli sulle commesse globali seppur con cautela decisamente maggiore, un ammorbidimento che aveva consentito loro di triplicare le valutazioni in Borsa e di mantenere gli Stati Uniti al primo posto al mondo nella graduatoria degli esportatori di arsenali. E non importa che nel primo anno di amministrazione Trump le vendite abbiano già sfiorato i 42 miliardi di dollari, salite nettamente dai 31 miliardi dell’anno precedente e pari a quasi tutti gli aiuti americani all’estero – metà dei quali oltretutto legati ancora alla sicurezza. Ecco un grafico che dà il quadro aggiornato dell’export di Armi Usa.
Quel mercato ha ancora grandi potenzialità, assicurano i collaboratori della Casa Bianca. E nulla fermerà questo presidente dallo sfruttarlo in nome di America First, di una ragione economica che a suo avviso ridurrà l’odiato deficit commerciale, porterà nuovi e solidi posti di lavoro nel Paese e consentirà agli Stati Uniti anche futuri risparmi delegando altrove mansioni – ben armate – di sicurezza globale. «Daremo ai nostri partner una maggior capacità di condividere gli oneri della sicurezza internazionale e avvantaggeremo la base industriale del settore della difesa garantendo l’assunzione di lavoratori americani», ha commentato una fonte vicina ai preparativi per la nuova politica.
Le voci critiche non sono tardate. «Questa amministrazione ha dimostrato fin dall’inizio che i diritti umani sono in coda alle sue priorità», ha detto Rachel Stohl dello Stimson Center. «La miopia di questa nuova politica dell’export di armi potrebbe avere serie implicazioni di lungo periodo», soprattutto quando i partner in questione diventano una categoria sempre più flessibile e dalla dubbia reputazione. Recenti contratti multimiliardari di forniture belliche con Arabia Saudita e Bahrain, per un totale di dieci miliardi nel breve termine, hanno sollevato particolari timori. Le forniture al Bahrain erano state in passato bloccate proprio per ragioni umanitarie.
Ma la prossima National Security Decision Directive, così si chiama il documento in preparazione alla Casa Bianca, minimizza simili allarmi e appare pronta a scatenare nuove sfide e corse al riarmo con altri protagonisti del grande mercato delle armi: arsenali cinesi, russi e persino israeliani oggi competono con le offerte statunitensi in segmenti d’avanguardia quali i droni per uso militare. Trump, per tutta risposta, ambisce a rastrellare ogni opportunità: introdurrà facilitazioni anche per la promozione all’estero di armi americane di minor contenuto tecnologico e valore, quali fucili d’assalto e munizioni.[:]