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Classe 1977, guida Terra Moretti Vino, quarto più grande proprietario di vigneti d’Italia con nove milioni di bottiglie prodotte e 63 milioni di fatturato. Un’azienda che si è imposta negli anni anche sui mercati esteri, dagli Stati Uniti al Giappone.
(Bloomberg) Tutto comincia da Bellavista, nel 1977, nata come un’aziendina nel garage di casa per fare quattro bottiglie di vino da bere con gli amici, ma erano così buone che è diventata stella di prima grandezza sulle colline di Franciacorta. Nell’area tra Brescia e Bergamo che chiude il lago d’Iseo come un ferro di cavallo, Francesca Moretti, 44 anni, enologa, guida Terra Moretti Vino, il gruppo vitivinicolo di Erbusco, quarto più grande proprietario di vigneti d’Italia, fondato dal papà Vittorio, oggi presidente. Un’azienda agricola di 1100 ettari di terra che dalla Lombardia spazia alla Sardegna (Gallura e Sulcis) e alla Toscana (Maremma), con nove milioni di bottiglie e un fatturato di 63 milioni di euro. Altre due sorelle, Carmen e Valentina, seguono rispettivamente il comparto hotellerie e l’impresa di costruzioni della Holding Terra Moretti che nel complesso fattura 147 milioni di euro e ha 750 dipendenti.
Bollicine docg, denominazione di origine controllata e garantita, conosciute e vendute negli Stati Uniti, Canada, Giappone e altri paesi asiatici. Per raggiungere le vette dell’eccellenza, Francesca Moretti ha studiato sul campo. “Sono cresciuta a Erbusco, su questa collina che mio padre ha comprato negli anni Settanta; era un paese microscopico, un po’ isolato, non è come crescere in una città, tornata da scuola non avevo molto altro da fare che giocare nel bosco con gli animali e i cani, e andare in cantina ad aiutare”. Il liceo scientifico a Rovato, a un passo da casa. Poi quello che era un gioco da piccola, si è trasformato in una passione da grande. “Papà, voglio fare il vino”.A Milano la laurea in Agraria e il corso di tecnologie alimentari che offre anche una specializzazione in viticoltura ed enologia. “Ho frequentato tre anni, altri due nel Centro vitivinicolo lombardo, in Oltrepò Pavese. Con questa base ho iniziato a lavorare nelle aziende franciacortine”.
La lezione più importante l’ha avuta in Francia. “Ho viaggiato molto in Borgogna, sono stata a Bordeaux e nei luoghi dove si impara questa arte, con la fortuna che avendo mio padre un caro amico tra gli Hugel dell’Alsazia, una delle famiglie storiche del vino in Europa dal 1639, mi sono stati insegnati i valori legati alle uve e alla qualità del vino, grazie al lavoro che si fa con la terra. Ho fatto esperienze e sono cresciuta”.
Tra le viti francesi ha appreso i segreti delle bollicine che esporta per il 20 per cento all’estero, dove duellano con lo champagne. “Il nostro spumante è il frutto della valorizzazione del territorio, Franciacorta e basta, uva e lavorazione Chardonnay, metodo classico, a prezzo alto, da promuovere e far conoscere sempre di più. Completamente diverso dal prosecco che viene venduto anche a due euro”.
Dovendo fare di necessità virtù, l’imprenditrice bresciana ha iniziato anche a occuparsi di numeri, di personale, di amministrazione, di finanza e di comunicazione con una visione a 360 gradi e il controllo della produzione dalla vigna alla cantina. “Il mio lavoro favorisce la convivialità ma è duro; quando si può si va via qualche giorno, cerchiamo di dedicare il tempo ai bambini, di solito in inverno che è il periodo più tranquillo, si stacca e si va a sciare, ma poi anche se vai al ristorante finisci per parlare di vino”.
Tanta pazienza e amore. Per chi coltiva le viti, quella dell’anno scorso è stata una pessima annata, come non si vedeva da tanto tempo. Siccità, vento, grandinate e gelate, tutti i danni che madre natura può regalare. Stagione con perdite, fino al 40 per cento. “Purtroppo – dice l’amministratrice – è lo scotto che paga chi lavora con la terra e vuole dare valore all’azienda. Noi non acquistiamo uva e bottiglie, portiamo avanti terreni e vigneti con una certa filosofia”. L’arte dei vignaioli della tradizione e la forza di rimboccarsi le maniche ogni volta. “Le lavorazioni stanno andando bene, potiamo e leghiamo i filari. Quest’inverno al nord ha piovuto un poco, ma in Toscana no, e stiamo aspettando l’acqua dal cielo che serve per arrivare fino alla prossima vendemmia. Abbiamo impostato le attività, la settimana prossima ci sarà la riunione con gli agenti e partiremo col commerciale con un nuovo sistema per gestire sei aziende così distanti. Dovremo rivedere quei budget che c’erano quando abbiamo fatto la fusione”.
Per acquisire le nuove proprietà Terra Moretti Vino ha impiegato l’anno scorso, con il sostegno della Simest, che fa capo alla Cassa depositi e prestiti, 60 milioni di euro e con la sua società di distribuzione si è fusa con il fondo di investimenti Nuo Capital della famiglia cinese Cheng Pao di Honk Kong, che ha una quota del 30 per cento. Con questa operazione si è aggiudicata oltre 600 ettari del marchio sardo Sella&Mosca e di Teruzzi&Puthod che produce la Vernaccia di San Gimignano e rossi come Terre di Tufi, Arcidiavolo e Peperino, che appartenevano alla Campari.
Il gruppo del vino annovera adesso Bellavista e Contadi Castaldi in Lombardia, in Toscana Tenuta La Badiola, le cantine Petra e Teruzzi e una in Sardegna. “Lavoriamo con oltre 400 dipendenti, la metà dei quali proviene da Sella & Mosca. Ad Alghero, in Gallura e nel Sulcis vado spesso. Adesso dobbiamo consolidare”.
Sarà la Cina in particolare uno dei mercati dove impegnarsi per una maggiore espansione. “Siamo già molto forti in Giappone, e senza togliere nulla a quanto abbiamo fatto nell’arco degli anni, ora grazie alla famiglia Pao vogliamo penetrare in quella piazza enorme dove ci sono grandi spazi di crescita. I cinesi vanno educati perché non sono abituati a bere vino e hanno un gusto completamente diverso dal nostro”.
Francesca Moretti, intanto, viaggia a vele spiegate verso il biologico. “Alcune aziende sono già certificate, altre in fase di conversione. Oggi non è sufficiente fare un buon prodotto, penso che rispettare l’ambiente sia un prerequisito e va data qualità a quello che si fa. Ci sto attenta come quando seleziono la pasta e il pane da dare ai miei figli Alice di otto anni e Lorenzo di sei. I costi aumentano sicuramente, ma dipende sempre dove operi e in che modo. Bisogna usare la testa. Se una vigna è sana e forte, non si ammala quindi non devo ricorrere a tanti trattamenti. Lavoro per rendere il mio corpo forte e intervenire all’occorrenza anche con un prodotto omeopatico. Ma se mi viene la polmonite sono costretta a prendere l’antibiotico. Così succede alla pianta che è in grado di sopravvivere alle malattie. Curando la vigna ogni giorno, potando, zappando, e non come negli anni Ottanta e Novanta con le sole macchine, io tratto la vite come una persona. Tutti i nostri dipendenti condividono questa filosofia e contribuiscono a realizzarla, sanno cosa accade in azienda, siamo concentrati sui team e sugli organigrammi per diffondere la nostra cultura. Gli uomini devono essere preparati e responsabili, come un genitore che per crescere il proprio figlio lo deve coltivare”.
Essere una colonna per Terra Moretti. “Mi piacerebbe – riflette l’amministratrice -. Mio padre a 76 anni è un presidente ancora attivo e questo, oltre ad essermi di grande aiuto, mi fa molto piacere. Ha un modo di lavorare visionario ed è uno stimolo importante perché ti insegna a ragionare. Un imprenditore deve saper rischiare e metterci anche cuore e passione. Sono doti innate, spero di aver preso qualcosa da lui. Certamente mi ha trasmesso l’amore per la lirica. Nutrito dall’amicizia della mia famiglia con il soprano Cecilia Gasdia, di casa alla nostra festa della vendemmia e con il tenore Luciano Pavarotti: in suo onore dal 2004 siamo sponsor del Teatro La Scala. Non so ancora se sono un’imprenditrice, ma il fatto che io e papà siamo in sintonia mi rassicura, averlo è una fortuna”.
La condivisione è un concetto molto presente in casa Moretti. Con i 50 anni della holding è partito il progetto welfare, che darà ai dipendenti un sostegno per costruire un percorso di crescita professionale e umana, donne e uomini in uguale misura. “La nostra attività nasce come impresa di costruzioni anche se il mio bisnonno e entrambe le famiglie di mamma e papà sono franciacortine. Il sogno di mio padre era di riavvicinarsi alla terra e fare vino alla maniera del nonno; quando ha saldato i suoi debiti e ha avuto un po’ di soldi da investire, ha acquistato questa collina. Oggi che le costruzioni vivono un momento difficile, l’holding è importante per le sinergie che si sviluppano tra il lavoro del vino e l’Albereta di Erbusco e l’Andana a Castiglione della Pescaia, due alberghi di lusso che vanno molto bene e che hanno avuto l’imprinting di due chef d’eccezione, Alain Ducasse e Gualtiero Marchesi”.
La grande abitazione che Vittorio Moretti ha costruito sulla collina di Bellavista si è ripopolata di figlie, generi e nipoti. Una foto corale l’ha scattata Oliviero Toscani per il mezzo secolo del gruppo nel libro ‘Made in Italy, fatto in Italia’. Un’opera riuscita che racconta questo intreccio tra lavoro e affetti familiari. “Mio padre e mia madre Mariella – racconta Francesca Moretti – credono nell’unione e hanno fatto molto perché si possa vivere e fare tante cose tutti insieme. Anche qualche vacanza. La più bella è stata un viaggio di un mese, eravamo quattordici, in giro negli Usa e in Canada”.
Su questa linea, da qualche settimana è entrato in azienda suo marito Mirko, coetaneo, milanese che all’inizio dell’anno ha lasciato la società francese Air Liquide, dove curava il commerciale estero. “Una scelta che abbiamo ben ponderata e lui, dopo dodici anni che stiamo insieme, ha deciso di fare il salto”.[:]