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La storica azienda smembrata per produrre il drone ‘flop’ sognato dai soci arabi
(Business Insider) C’era una volta la Rinaldo Piaggio, che portava il nome di colui che l’aveva fondata alla fine dell’Ottocento e che è diventata famosa nel secondo dopoguerra per l’invenzione della Vespa e per la produzione di aeromobili come il P136, il P148 e il P166. Quest’ultimo velivolo fu progettato e costruito nello storico stabilimento Piaggio di Finale Ligure (Savona), una fabbrica arancione incuneata ai confini della cittadina ligure, tra l’Aurelia e il mare, di cui oggi non resta più nulla. Le attività, dal 2015, sono state trasferite a Villanova d’Albenga: un passaggio fondamentale – si era detto allora – per superare la crisi economica e finanziaria che stava mordendo la Piaggio Aerospace, nata da una costola della Rinaldo Piaggio (da un’altra ha preso vita la Piaggio & C., quotata in Borsa e produttrice della famosa Vespa) e controllata dal 2014 dal fondo sovrano arabo Mubadala, noto per avere investito in passato nella Ferrari e nella società del cachemire Ballantyne al fianco di Luca Cordero di Montezemolo.
Oggi, a tre anni di distanza, la Piaggio Aerospace continua ad attraversare una fase di crisi nera da cui, stando alle speranze dei vertici aziendali, solo il nuovo piano industriale potrà salvarla. Lo mettono chiaramente in evidenza i revisori dei conti che, soltanto alla fine dello scorso dicembre, hanno dato il loro benestare al bilancio di esercizio del 2015 di Piaggio Aero Industries, in contemporanea con l’approvazione dei numeri da parte degli azionisti di Mubadala, società di investimento controllata dal governo di Abu Dhabi (il ritardo nel via libera ai numeri è dovuto alla crisi dell’azienda, ma, proprio perché approvato alla fine del 2017, il bilancio di esercizio del 2015 contiene preziose informazioni anche sulla situazione di oggi della società).
“Il bilancio di esercizio 2015 – scrivono i revisori di Deloitte nei richiami di informativa, dove elencano le criticità riscontrate – evidenzia una perdita di circa 247 milioni, un patrimonio netto negativo di circa 155 milioni e un indebitamento finanziario netto di circa 336 milioni, costituito per 199,4 milioni da debiti verso le banche”. E ancora: “La perdita conseguita ha generato un deficit patrimoniale che al 31 dicembre 2015 ha portato la società nelle condizioni previste dall’articolo 2.447 del codice civile”, che impone di correre ai ripari nel caso in cui le perdite superino un terzo del capitale e questo scenda sotto il minimo legale. Inoltre, aggiungono i revisori dei conti, nel periodo successivo sino al 31 agosto del 2017, sono emerse “ulteriori perdite che portano il deficit patrimoniale a 274 milioni”.
La relazione di Deloitte che dà l’ok al bilancio del 2015 con questi richiami di informativa è datata 21 dicembre 2017. Lo stesso giorno, alle ore 16.00 a Milano, si riuniva l’assemblea dei soci di Mubadala per dare il proprio benestare ai numeri. E qui c’è stato un piccolo colpo di scena: come emerge dai documenti dell’assemblea, il problema dell’insufficiente patrimonializzazione dell’azienda è stato risolto e superato – come sottolineato nel corso dell’assise dal presidente di Piaggio Aero Industries, Renato Vaghi – grazie alla rinuncia da parte dell’azionista arabo di una porzione di crediti verso la società stessa per un totale di poco più di 326 milioni di euro. Un copione simile era andato già in scena nel maggio del 2015, quando Mubadala aveva rinunciato a crediti per oltre 100 milioni.
Più in generale, per capire come l’azienda conti di rimettersi in piedi, occorre dare uno sguardo ai principali punti su cui si basa il piano industriale per il periodo 2017-2021:
l’iniezione di risorse del socio Mubadala nella società fino a un massimo di 255,5 milioni, di cui 180 già versati alla data dell’assemblea.
l’acquisto da parte di Mubadala di tutti i crediti verso la società, per 174,3 milioni, esclusi gli interessi maturati. In tale contesto, l’azionista degli Emirati si sarebbe impegnato a rinunciare a tali crediti e ad altri nei confronti della società fino all’importo necessario per ripristinare il patrimonio netto (si veda la rinuncia da oltre 326 milioni di cui sopra, dove la parte mancante è rappresentata dal “prestito soci”).
nell’ambito dell’operazione 2. il socio di riferimento acquista a un prezzo di 90 milioni tutti i crediti in mano alle banche, capitanate da Unicredit, pari a circa 200 milioni.
la rinegoziazione con il partner commerciale Leonardo, la ex Finmeccanica, del debito pari a 115 milioni, che prevede il rimborso a partire dal 2020 e sino al 2023.
Durante l’assemblea dei soci, il presidente Vaghi, che è anche amministratore delegato di Aerospace, ha spiegato che la perdita di esercizio del 2015 è il risultato, tra le altre cose, di tutta una serie di svalutazioni e di accantonamenti in previsione di “potenziali perdite derivanti dalle dismissioni pianificate”. Il fatto è che, per rimettersi in sesto, l’azienda ha messo a punto un piano industriale, a margine del quale non viene esclusa la vendita o comunque l’apertura a nuovi azionisti delle principali attività, a cominciare da quella dei motori e della manutenzione civile, che annovera tra i clienti l’Aeronautica militare italiana e che è considerata un po’ il business che ha tenuto in piedi l’azienda in tutti questi anni.
Ma in ballo c’è anche la cessione a investitori cinesi della proprietà intellettuale connessa al ramo d’azienda di Piaggio Aerospace che produce il jet executive P180. L’acquirente sarebbe il fondo Pac, con base in Lussemburgo, capitali cinesi e intermediari italiani: a lavorare all’acquisizione sarebbero, infatti, l’ex manager di Piaggio Aerospace Alberto Galassi, che è anche amministratore delegato di Ferretti, l’ex direttore generale Eligio Trombetta e l’ex direttore vendite Giuliano Felten. Sull’operazione, alla fine del 2017, il governo di Paolo Gentiloni ha deciso di esercitare i poteri speciali del “golden power” per evitare che volino al di fuori dell’Unione europea tecnologie e informazioni ritenute particolarmente sensibili.
Il generale piano di dismissioni ha come obiettivo quello di concentrarsi sul progetto P1HH Hammerhead, ossia – come lo descrive la stessa Piaggio Aerospace nel comunicato dove annuncia il nuovo piano industriale – “l’innovativo e versatile sistema aereo a pilotaggio remoto progettato per la sorveglianza e la ricognizione aerea, marittima e del territorio”. In altri termini, la società si concentrerà sui droni. Non a caso, tra le condizioni poste da Palazzo Chigi per la cessione del ramo dei P180 ai cinesi, c’è quella di una totale separazione tra i jet privati e il business militare, nonché il reinvestimento in quest’ultimo, che sviluppa un drone teleguidato, di gran parte del ricavato della vendita.
Della crisi della società e di come uscirne si parlerà in un incontro che si terrà tra azienda e sindacati il 15 febbraio presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise). “Dopo che avevamo già firmato l’accordo del 2014, che tra le altre cose prevedeva lo spostamento della produzione di velivoli da Genova a Villanova d’Albenga – spiega Antonio Apa, segretario generale Uilm Genova – ora il Governo ci propone una nuova modifica dell’accordo che tenga conto delle novità introdotte dal piano industriale e dai previsti cambiamenti di perimetro. Noi faremo presente che non ci convince la vendita della divisione dei motori, che impiega circa 300 addetti sugli oltre 1.000 dell’azienda. Inoltre, riteniamo sia un delitto cedere ai cinesi la proprietà intellettuale del ramo del P180, che ha rappresentato uno dei velivoli simbolo della Piaggio. Insomma – conclude il sindacalista – per sviluppare la versione aggiornata dei droni, Piaggio Aerospace riceverà risorse dal Governo stimabili in centinaia di milioni di euro spalmati su più anni. Non possiamo restare noi sindacati con il cerino in mano. Non si devono inoltre dimenticare le oltre 100 persone in cassa integrazione con scadenza a luglio”. Nel bilancio, in particolare, si legge che il personale alla fine del 2015 era composto da 1.232 lavoratori, la maggior parte dei quali (867) nel nuovo stabilimento di Villanova d’Albenga, 352 in quello di Genova e 13 nelle basi di Roma.
In passato, l’azienda ha spesso agitato lo spettro di un rafforzamento della cassa integrazione per ottenere risposte dal Governo alle proprie domande. Per esempio, avrebbe desiderato che quei 100 milioni abbondanti di debiti verso Leonardo fossero convertiti in azioni, così da risolvere almeno in parte in un colpo solo il problema del debito e quello del rafforzamento patrimoniale. L’ex numero uno dell’azienda a partecipazione pubblica, Mauro Moretti, si era tuttavia messo di traverso e non se ne era fatto nulla. Resta il fatto che la ex Finmeccanica fornisce alla Piaggio Aerospace il sistema di pilotaggio remoto dei P1HH.
Ma come mai tanto interesse per i droni? Secondo la tesi riportata in un articolo dell’Espresso del giugno del 2016, i soci emiratini vorrebbero utilizzarli “per tenere sotto controllo le proprie frontiere da possibili attacchi dell’Is”. In attesa di capire quale uso se ne farà, gli esperimenti sin qui fatti sono stati fallimentari. Lo dichiara esplicitamente lo stesso bilancio della Piaggio Aerospace: “Il 31 maggio 2016 un prototipo del P1HH, durante un volo sperimentale con partenza dall’Aeroporto di Trapani, è caduto nel tratto di mare antistante l’isola di Levanzo senza causare alcun danno a persone o cose. La società ha immediatamente attivato una propria commissione interna per accertare, in collaborazione con le autorità competenti, le cause dell’incidente”. Sarà probabilmente anche per questo che è previsto un aggiornamento di questo modello di droni.[:]