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Il presidente Usa: “Faremo un grande lavoro insieme”. Il leader coreano: “Già importante essere arrivati fino a qui”
(Corriere della Sera) L’incontro nella blindatissima isola Sentosa, a Singapore, si è aperto alle 9 del mattino ora locale. Il faccia a faccia, dopo le foto di rito, si è consumato alla presenza dei soli interpreti di fiducia. Il presidente Usa: “Faremo un grande lavoro insieme”. Il leader coreano: “Già importante essere arrivati fino a qui”
Sono le 13:40 a Singapore, Trump e Kim si siedono a un tavolo, alle loro spalle le bandiere della Nord Corea e degli Stati Uniti d’America. Parla per primo il Maresciallo, con voce roca, quasi incrinata dall’emozione, dice: «Il documento che abbiamo preparato è storico, il mondo assisterà a un grande cambiamento, abbiamo deciso di lasciarci il passato alle spalle». «Okay, firmiamo», dice il presidente Trump. E mentre sigla un giornalista gli chiede: la denuclearizzazione? «Cominceremo il processo molto presto, molto, molto presto, assolutamente. È un documento molto ampio, dettagliato, lo leggerete e vedrete anche voi, si crea un legame forte tra di noi, speciale». Si stringono la mano, si alzano e vanno via ancora insieme, con Trump che mette per un momento la mano sulla spalla del nemico ora amico (forse). Sono entrati nella Storia, dalla parte giusta della Storia, quella della pace. Trump fa sapere di aver invitato Kim alla Casa Bianca. Ora comincia il negoziato nei dettagli, con il rischio di delusioni, rotture, tradimenti della parola data. Nel 2000 Madeleine Albright era andata a Pyongyang per preparare missione di Clinton: brindisi con Kim Jong-il, scambio di indirizzi email per tenersi in contatto personale. Ma nel frattempo gli scienziati nordcoreani sviluppavano uranio arricchito per il primo test nucleare… L’ultimo tentativo di Obama risale al 2012, ma un mese dopo l’apertura di colloqui riservati Kim Jong-un lanciò il suo primo missile nga gittata. Obama tagliò i canali di dialogo e tornò alla «pazienza strategica». Una linea che non ha impedito a Kim di sviluppare armi atomiche e missili intercontinentali. Ora forse è finita davvero.
Le prime parole: «Non è stato facile»
Parla per primo Trump: «Grande, è un onore essere qui, credo che sarà un successo, costruiremo una relazione splendida tra di noi». Kim: «Non è stato facile, ci sono stati una serie di problemi, ci sono voluti anni, ma abbiamo superato tutti gli ostacoli e oggi siamo qui». Un minuto di dichiarazioni in pubblico, poi si chiudono le porte e comincia il colloquio faccia a faccia, accanto ai leader solo due interpreti. I consiglieri americani e nordcoreani aspettano fuori, probabilmente sfruttano ogni minuto per continuare a parlarsi, per cercare di trovare una definizione comune della parola chiave: denuclearizzazione.40 minuti da soli
Alle 9:50 Trump e Kim riemergono dalla saletta e camminano insieme sotto un porticato in stile coloniale, eredità dell’architettura imperiale britannica. Trump tiene Kim alla sua destra, in gesto di cortesia conciliante: il linguaggio del corpo conta molto in un negoziato che si sta fondando su un rapporto personale tra due uomini con un carattere forte. Il colloquio da soli è durato 40 minuti. Parte il negoziato Alle 9:54 i leader si siedono con le loro delegazioni intorno a un tavolo rettangolare. Al fianco di Trump ci sono Mike Pompeo, il Segretario di Stato che ha incontrato in segreto Kim a Pyongyang e ha dato il via libera a questo summit e John Bolton, il Consigliere per la sicurezza nazionale che non vorrebbe concedere niente ai nordcoreani, vorrebbe solo che consegnassero l’arsenale nucleare e missilistico. Ancora qualche parola davanti ai microfoni delle tv: parole incoraggianti. La verità se la diranno a porte chiuse.
Le ultime promesse
Il Presidente e il Maresciallo sono arrivati al vertice di Sentosa-Singapore tra sorrisi e attestazione di fiducia. Singapore è una Città-Stato disciplinata e poco emotiva, ma i bar lungo il fiume sono pieni di bandiere americane e nordcoreane unite, di foto di Donald Trump e Kim Jong-un con la parola «Peace in Singapore». Le ultime dichiarazioni sono state incoraggianti. «Stabiliremo una nuova relazione con gli Stati Uniti, per un’era di pace permanente» ha annunciato ieri la tv di Pyongyang per riassumere l’obiettivo (vero?) di Kim. La dichiarazione contiene l’impegno a «discutere ampiamente e in profondità le questioni della denuclearizzazione della penisola coreana».
Le richieste americane
Trump su Twitter ha scritto: «Eccitazione nell’aria, good feeling! Può andare bene». Avvertimento più articolato di Mike Pompeo: «Il presidente vuole la denuclearizzazione completa e verificabile della Nord Corea. In cambio offriamo garanzie di sicurezza al regime. Ma solo quando avremo le prove di questa denuclearizzazione finiranno le sanzioni». Per il Maresciallo nordcoreano un’intesa con gli Stati Uniti significa evitare di fare la fine del Colonnello Gheddafi. La «completa, verificata, irreversibile denuclearizzazione» che non solo Trump ma diversi presidenti prima di lui hanno chiesto inutilmente non si può decidere in un solo faccia a faccia, per quanto storico, qui a Singapore.
Il dossier nucleare
C’è da prevedere (sperare) che Trump e Kim consegnino il dossier della denuclearizzazione ai negoziatori specializzati che ne parleranno nei prossimi mesi, tra alti e bassi. «Questo vertice disegnerà la cornice di un lavoro duro che deve seguire», dice Pompeo. In cambio di una «vita sicura e prospera alla guida del suo regime» Kim potrebbe concedere la fine dei test, una riduzione delle testate atomiche e magari la distruzione dei missili intercontinentali. Ma solo per la verifica sul campo, se ci si arriverà, si calcola che servirebbero duemila ispettori internazionali al lavoro per tre anni. E il know-how atomico comunque non si cancella: in Nord Corea ci sono almeno 10 mila tecnici esperti pronti a produrre nuove testate.
Le ultime minacce
Resta il fatto straordinario e incoraggiante che sembrano passati anni luce da quando la Nord Corea minacciava «lo showdown nucleare, per far provare agli americani una tragedia che non hanno mai conosciuto e nemmeno immaginato sulle sue città». Era solo il 24 maggio e a parlare era la signora Choe Son Hui, viceministra degli Esteri nordcoreana e nota negoziatrice atomica che oggi è qui a Singapore a trattare con i nemici americani (ex nemici?). Madame Choe, come la chiamano nell’ambiente, tre settimane fa con quella frase da Dottoressa Stranamore replicava al vicepresidente americano Mike Pence, che il 23 maggio aveva osservato: «Più che una minaccia è un fatto che se la Nord Corea non farà l’accordo con il presidente Trump finirà come la Libia». E il Maresciallo seguirà nella tomba il Colonnello Gheddafi, massacrato dagli insorti libici mentre aerei della coalizione occidentale bombardavano il suo Paese.[:]