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La ribellione è nelle cifre: in tutto 874 miliardi di dollari di merci
(Il Sole 24 Ore) – La crociata dei dazi di Donald Trump – che oggi vedrà un passaggio importante con l’incontro a Washington tra il presidente Usa e il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker – comincia a costare cara a settori cruciali dell’economia americana. Tanto da spingerli a prendere posizione contro l’escalation delle tariffe doganali, elogiate ancora ieri dal tycoon, che le ha definite «la cosa migliore» nei confronti di «nazioni che per anni ci hanno trattato ingiustamente».
La ribellione è nelle cifre: in tutto 874 miliardi di dollari di merci sono già stati colpiti o minacciati dalle “mura” tariffarie sollevate da Trump, che spesso danneggiano anche imprese e consumatori statunitensi che con simile import vivono e prosperano, e almeno 75 miliardi di export del made in Usa sono oggetto di ritorsioni. Sotto assedio sono pilastri del business che vanno da auto e componentistica a agricoltura e alimentare, da retail a produttori di lattine, da tecnologia ad abbigliamento. Le ripercussioni sono così diffuse che la Us Chamber of Commerce riassume in una mappa che copre l’intero Paese i costi in evoluzione, stato per stato, con la classifica dei più colpiti, al momento guidata da Alabama, Michigan, Pennsylvania, South Carolina, Texas e Wisconsin.
Auto La Alliance of Automobile Manufacturers, che rappresenta i grandi produttori Usa e globali, denuncia i danni di dazi del 20-25% che colpirebbero anzitutto Europa e Giappone. Jennifer Thomas, Vice President of Federal Government Affairs, ha elencato «14 case americane e internazionali che operano 45 impianti in 14 stati», che supportano «oltre 7 milioni di lavoratori con 500 miliardi in stipendi annuali e 200 miliardi in tasse pagate». Una realtà che «contribuisce per il 3,5% al Pil e investe 20 miliardi all’anno in ricerca». I dazi, che farebbero rincarare un’auto importata di 6mila dollari e una costruita in loco di 2mila, «sarebbero un’enorme tassa da 83 miliardi sui consumatori», con «effetti a cascata» sull’economia e la potenziale perdita di 600mila posti, il 10% del totale. Ann Wilson della Motor & Equipment Manufacturers Association, che rappresenta i fornitori, aggiunge che a rischio sarebbero anche gli 871mila lavoratori del suo comparto, erodendo competitività e investimenti.
Tech
Jorge Castaneda, portavoce dell’Information Technology Industry Council, condanna l’escalation in atto contro parti e prodotti tecnologici cinesi e ricorda la recente presa di posizione del vicedirettore dell’associazione Josh Kallmer: «Danneggeranno consumatori e business, costando lavoro». L’impatto maggiore è stato stimato su prodotti popolari come computer, telefoni e termostati. E piccoli e medi produttori di hardware, con margini di profitto più limitati e manifattura in Cina, soffrirebbero particolarmente: JLab Audio, che sforna cuffie e speaker, stima contraccolpi sul 70% del suo business. Sonos (speaker) teme pressioni sulle vendite nel suo recente filing per la quotazione.
Retail
Bethany Aronhatl della National Retail Federation cita una stima dell’associazione che vede i primi dazi da 50 miliardi contro la Cina, tra luglio e agosto, e le parallele ritorsioni limare tre miliardi dal Pil Usa e eliminare 134mila impieghi. L’entrata in vigore di altre sanzioni su cento miliardi di beni distruggerebbe ulteriori 455mila posti e 49 miliardi di Pil. «L’ultima vasta lista di beni cinesi nel mirino, per 200 miliardi, è un atto irresponsabile, un boomerang che i consumatori non potranno evitare», ha di recente tuonato il vicedirettore della Nrf David French. Una Tv made in China, ad esempio, costerà il 23% in più. Il retail sostiene un posto di lavoro su quattro nel Paese, 42 milioni, e contribuisce 2.600 miliardi l’anno al Pil.
Agricoltura
Il settore agricolo è uno dei più minacciati dalle contromisure ai dazi Usa:?non a casa l’Amministrazione Trump è pronta ad annunciare aiuti – si parla di 12 miliardi di dollari – per attenuarne l’impatto. L’American Farm Bureau Federation, per bocca del responsabile del Texas Russell Boening, non è tenera con la Cina o gli alleati ma avverte che la guerra commerciale a conti fatti falcerà molte aziende agricole e di allevamento, oggi 2,1 milioni, per il 99% a conduzione familiare. Boening vede minacciato il suo stesso raccolto: «Il 46% del cotone esportato in Cina arriva dal Texas». Con altri prodotti in pericolo, dalla soia alla carne di maiale, il dirigente evidenzia come «un quarto del reddito agricolo derivi dall’export», che vale 135 miliardi l’anno e genera surplus. Stime rivelano che già i dazi esistenti potrebbero erodere il reddito del 6,7% ed eliminare 67mila impieghi nel settore, con altre sanzioni su cento miliardi che cancellerebbero il 15% del reddito e 181.000 posti.
Metalli e lattine
L’Associazione dell’alluminio, ha detto il ceo Heidi Brock, è contraria ad azioni che «alienano alleati e traumatizzano la catene di fornitura dalle quali dipende il 97% degli impieghi», 162.000 con un indotto di quasi 700.000. E il Can Manufacturers Institute ricorda l’acciaio e l’alluminio in gran parte di importazione che servono per fabbricare 119 miliardi di lattine quotidiane, con i dazi sui metalli che costano 1,1 miliardi al settore.
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