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Sono loro a incentivare di nascosto il contrabbando di sigarette
(Business Insider) Due nuovi studi pubblicati sul British Medical Journal lanciano un allarme: le grandi compagnie che producono tabacco, incentivano direttamente il mercato di contrabbando. Circa due terzi delle sigarette illegali arrivano dall’industria.
Le ricerche sono state condotte dal Tobacco Research Group dell’Università di Bath, un team internazionale e interdisciplinare. In sostanza è un cane da guardia del settore. Per esempio controlla che non vengano fatte promozioni e il tipo di messaggi che vengono applicati sui pacchetti. Ma anche il comportamento a livello di lobby nei confronti della politica.
La prima pubblicazione si basa su documenti trapelati in segreto che dimostrano che i produttori stanno violando l’Illicit Trade protocol, un trattato internazionale ratificato da oltre 40 Paesi che punta a eliminare ogni diffusione illecita tramite misure prese in cooperazione tra le varie nazioni.
Le denunce sono precise: alla fine degli anni Novanta un terzo della produzione di sigarette è andato “perduto” e i documenti scoperti dimostrano che alcuni mercati sono stati forniti solo di prodotti di contrabbando.
Nel secondo studio viene dimostrato che le aziende del tabacco hanno avuto un ruolo contraddittorio e cercano costantemente di manipolare l’opinione pubblica e i controlli. Dopo aver a lungo osteggiato l’adozione del protocollo, hanno cercato di lavare la propria immagine e si sono offerte come partner. Hanno organizzato conferenze in Paesi come Kenya, Uganda, Zimbabwe e Sud Africa, con la collaborazione dei Governi di quei Paesi. Lo hanno fatto però per promuovere Codentify, un sistema che permette il tracciamento della catena distributiva e che viene proposto in alternativa ai sistemi governativi pubblici. Infine hanno finanziato studi. Uno di questi, pagato da Philip Morris è stato svolto da Transcrime, un centro di ricerca legato all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Trento. I risultati a cui arrivano, sostiene il team del Tobacco Research Group, sono sempre sottostimati, rispetto a quelli che provengono da fonti indipendenti. Dunque non possono essere presi in considerazione.
E l’approccio poco trasparente e l’adozione di tattiche che cercano di interferire con gli organi di sorveglianza viene sottolineato anche da un documento pubblicato dal Framework Convention on tobacco control dell’Organizzazione mondiale della sanità, un organismo che ha stilato anche le linee guida del protocollo.
In pratica quella portata avanti è una guerra sporca, in cui il controllato mette le mani sul controllo e agisce nelle retrovie in modo da sbilanciare la situazione. “le compagnie continuano a spendere milioni di euro per finanziare la ricerca sul tabacco illecito. Ma se questi dati non rispettano gli standard scientifici ci dobbiamo chiedere se non servano invece a infangare un tema che ha molta importanza per la salute dell’uomo”, ha detto Karen Evans-Reeves, uno degli autori dello studio.
In Italia il 5-6% delle sigarette consumate è illecito.
Ma perché le industrie hanno interesse a farlo? Le compagnie vengono pagate per il loro prodotto in ogni caso, sia venduto legalmente oppure no. La vendita a prezzi ribassati in compenso aumenta le vendite, ovvero il consumo, senza limiti di età.
I marchi illegali presenti in Italia sono Regina, Marble, Pine, Minsk e Mark1 e hanno un prezzo che va da 2,5 a 3,5 euro. Ci sono poi anche brand noti illeciti, come Marlboro, Winston, Rothmans e Chesterfield, il sui prezzo è intorno ai 2,5 euro, mentre dal tabaccaio dovrebbero costare tra 4,50 e 5,20.
Il contrabbando viene utilizzato inoltre come scusa per chiedere una riduzione delle tasse. Fa parte di una strategia di marketing perché, incentivandolo, nonostante esistano dei controlli, è possibile chiedere misure per limitarlo che poi diventano vantaggiose, come l’eliminazione restrizioni sulle importazioni o la privatizzazione delle compagnie statali. Legate al contrabbando ci sono insomma questioni di salute, perché consente l’accesso al tabacco con prezzi molto inferiori e accessibili anche ai più giovani, ma soprattutto economiche perché consente l’evasione delle tasse.
Alla Ue il mercato nero del tabacco costa ogni anno 10 miliardi di euro di mancati introiti da imposte e dazi e, di questi, 1 miliardo è l’evasione relativa all’Italia.
Il nostro Paese è sia mercato di destinazione finale sia area di transito dei commerci illegali da e verso gli altri Stati dell’Unione Europea e che partono dalla Grecia.
Nel 2016 sono arrivati da Asia, Africa e Turchia in Grecia 4 miliardi di sigarette di contrabbando. In gennaio l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare in collaborazione con Olaf, European anti-fraud office, ha pubblicato una indagine sul collegamento tra criminalità organizzata e traffici illeciti. Gli esperti che lo hanno compilato sostengono che il traffico illecito viene incentivato anche da un altissimo livello di accettabilità sociale del fenomeno, che favorisce lo sviluppo di questo commercio.
Secondo la Guardia di Finanza il fenomeno del contrabbando è concentrato in Campania, Friuli Venezia Giulia e Sicilia. In Sicilia, quasi tutte le provenienze avvengono dal Nord Africa, da traghetti provenienti dalla Tunisia o da natanti di clandestini. Inoltre le tasse pagate variano da un Paese all’altro e in questo caso si producono simmetrie che consentono ai mercati non regolari di a espandersi.
Il documento The Tobacco Industry and the Illicit Trade in Tobacco Products prodotto dalla Framework convention on tobacco control identifica sei aree di interferenza da parte delle multinazionali:
prima di tutto intervengono in politica e fanno lobbying per far accettare dai governi l’organismo di controllo delle compagnie o per non ratificare il protocollo.
Sottolineano sempre l’importanza economica dell’industria senza valutare i costi per i sistemi sanitari nazionali dovuti alle patologie da tabacco.
Manipolano l’opinione pubblica per guadagnare rispettabilità pubblicizzando la propria responsabilità sociale di impresa,
creano gruppi di supporto “indipendenti”,
discreditano le ricerche scientifiche pubblicate o propongono come scienza pubblicazioni che non hanno nessun riscontro.
Infine minacciano i governi di fare causa perché il loro impegno contro il contrabbando non viene riconosciuto.
Gli autori del Tobacco Research Group dichiarano che è ora che governi, uffici delle tasse e organismi dei consumatori, che vengono costantemente gabbati dalle tattiche dell’industria, reagiscano, non credendo alle ricerche prodotte da chi produce tabacco e non accettando i loro sistemi di tracciamento, perché non sono credibili.