[:it]
La crisi economica senza precedenti che sta travolgendo il Venezuela di Nicolás Maduro mette nei guai le aziende italiane che operano nel paese sudamericano.
(BusinessInsider) I problemi sono molteplici e riguardano, tra gli altri, l’atteggiamento del governo, che negli ultimi anni ha statalizzato numerose società private, ma hanno a che vedere anche con la sostanziale immobilità dei progetti di costruzione nel paese, con annesso ritardo dei pagamenti pubblici, oltre che con la forte discontinuità nella fornitura di materie prime, che non garantisce le operazioni ordinarie delle aziende.
Così, la Pirelli, dopo essere stata presente in Venezuela per 28 anni, la sera del 7 settembre ha annunciato la cessione della propria fabbrica di pneumatici Car, situata nella città di Guacara, insieme con tutte le attività nel paese sudamericano. “L’operazione, che segue il deconsolidamento contabile della controllata venezuelana già avvenuto il 31 dicembre 2015, non ha effetti finanziari sul gruppo”, ha puntualizzato Pirelli, aggiungendo che l’intesa prevede la continuità dell’occupazione e che a comprare sono una cordata di imprenditori sudamericani e la società Sommers International.
Pirelli ha deciso di lasciare il Venezuela dopo continue svalutazioni (altri 5,5 milioni solo nel primo semestre del 2018) della partecipazione, di oltre il 96%, della controllata nel paese. Nel bilancio del 2017, Pirelli spiegava che la quota nella ormai ex controllata venezuelana non era inserita tra le partecipazioni di controllo, nonostante il 96,22% posseduto, “per effetto di significative restrizioni sulle attività rilevanti della società, di natura non temporanea”.
Ne sa qualcosa anche Salini Impregilo, che opera in Venezuela da oltre un trentennio e che a differenza di Pirelli per ora ha deciso di restare nel paese sudamericano. Il gruppo delle costruzioni sta, infatti, seguendo importanti progetti per lo sviluppo del Venezuela, due nel settore ferroviario (tratta Puerto Cabello-La Encrucijada e tratte San Juan de Los Morros-San Fernando de Apure e Chaguaramas-Cabruta) e uno in quello idroelettrico (realizzazione della Diga di Tocoma).
“Nonostante il governo venezuelano – spiega Salini Impregilo nella semestrale al 30 giugno 2018 – abbia rinnovato l’interesse nel voler portare a termine l’esecuzione dei progetti, ferroviari e idroelettrici, che sono stati definiti strategici per lo sviluppo e il progresso del paese, negli ultimi anni tali commesse sono state caratterizzate da ritardi di pagamento, sospensioni in via provvisoria e da riprogrammazionedei lavori a finire”. Insomma, le difficoltà a portare avanti le opere sono evidenti.
Da qui la necessità di operare ingenti svalutazioni. Così, se dalla semestrale di Salini Impregilo emerge una esposizione lorda al Venezuela pari a 636 milioni, di cui 116 milioni per crediti finanziari e circa 520 per corrispettivi maturati sui lavori eseguiti, quella al netto delle rettifiche per perdite di valore ammonta a circa la metà: 318 milioni. La svalutazione è stata scaricata quasi per intero sul fondo ad hoc già esistente, con un impatto negativo minimo, di nemmeno 1 milione, sul conto economico del primo semestre.
L’attuale situazione economica e politica in cui versa il paese potrebbe, però, condurre a un ulteriore peggioramento della situazione. “Tuttavia – mette in guardia Salini Impregilo nella semestrale – alla luce della delicatezza e complessità della situazione di incertezza che si è venuta a creare a livello politico, non si può escludere che, successivamente alla data di predisposizione della presente relazione finanziaria semestrale si verifichino eventi a oggi non previsti e tali da comportare modifiche alle valutazioni sinora effettuate”.
In occasione di un evento risalente allo scorso novembre, l’amministratore delegato Pietro Salini aveva puntualizzato che sul fatturato del gruppo il Venezuela non ha alcun impatto: “Stiamo andando avanti, abbiamo un track record di recupero di tutte le somme da tutti i paesi del mondo che è assoluto, cioè abbiamo il 100% di successo. Ci sono dei momenti in cui bisogna aspettare e dei momenti in cui si raccolgono i risultati. Il peso del Venezuela sul nostro fatturato vale zero”.
Anche il gruppo di costruzioni Astaldi, in questi giorni in difficoltà in Borsa per i tagli dei giudizi delle principali agenzie di rating anche in relazione all’esposizione alla Turchia, per ora resta in Venezuela, con tutte le difficoltà del caso. L’ultima relazione finanziaria disponibile, quella al 31 marzo, spiegava in proposito che “il management ha ritenuto opportuno effettuare un ulteriore impairment test (una valutazione per definirne il valore effettivamente recuperabile, ndr) dei crediti che il gruppo vanta verso il governo venezuelano. Tale impairment test (…) non ha evidenziato ulteriori svalutazioni”.
Per avere una fotografia più puntuale della situazione di Astaldi in Venezuela, occorre dare uno sguardo al bilancio del 2017, che nel paese sudamericano il gruppo ha in essere tre progetti ferroviari, con l’Instituto de Ferrocarriles del Estado, che sta sviluppando attraverso la partecipazione a iniziative consortili con altri partner. I progetti si riferiscono alla tratta Puerto Cabello-La Encrucijada, nonché ai cosiddetti “lotti del Sud”, corrispondenti alle tratte San Juan de Los Morros-San Fernando de Apure e Chaguaramas-Cabruta. “È noto che per tali iniziative – aggiunge il bilancio 2017 di Astaldi – in considerazione della congiuntura che il paese vive da qualche anno e del conseguente rallentamento registrato nei pagamenti, dal 2015 le relative attività operative sono state sostanzialmente sospese”.
Anche in questo caso un quadro di riferimento sia economico sia politico complesso che ha spinto il gruppo Astaldi a operare ingenti svalutazioni. Così, nel bilancio del 2017 si scopre che l’esposizione lorda verso la società pubblica Instituto de Ferrocarriles del Estado pari a 433 milioni è stata svalutata “in via prudenziale e con un atteggiamento cautelativo” per 230 milioni, complici anche “significativi eventi che hanno visto la situazione politica, economica e sociale del paese ulteriormente aggravata”, scendendo così a 203 milioni.
Anche per la Tenaris della famiglia Rocca, pure quotata in Borsa come Pirelli, Salini e Astaldi, gli ultimi anni in Venezuela sono stati piuttosto tumultuosi. La situazione era degenerata nel 2009, quando il Venezuela allora guidato da Hugo Chavez, nazionalizzando l’industria dell’oro, aveva statalizzato la società Matesi senza però liquidare la controllante Tenaris. Da lì è partito un contenzioso tuttora in corso che ha avuto tra i propri snodi cruciali la vittoria di un arbitrato da parte di Tenaris contro il Venezuela alla fine del 2016. Insomma, mantenere un piede nel paese sudamericano può oggi essere molto costoso, anche dal punto di vista legale.
Fonte: https://it.businessinsider.com/pirelli-crisi-venezuela-impregilo-astaldi-tenaris/[:]