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Le differenze con i casi Etruria e Venete
Il provvedimento prevede garanzia dello Stato sulle nuove obbligazioni e eventuale ricapitalizzazione precauzionale: strumenti identici a quelli previsti all’epoca per salvare MontePaschi, di cui poi il Tesoro è diventato primo socio sborsando 6,9 miliardi. Altri 4,78 miliardi sono stati spesi come “dote” per le ex Popolari venete cedute a Intesa. I costi per i quattro istituti regionali “risolti” nel novembre 2015 sono invece stati sostenuti dal sistema bancario, dopo l’azzeramento di azionisti e obbligazionisti subordinati.
Salva-banche o salva-risparmio? Il decreto su Banca Carige varato lunedì sera dal governo gialloverde è subito finito al centro della polemica politica, con l’esecutivo che rivendica di aver tutelato i risparmiatori e il Pd che attacca: “Hanno fatto la stessa cosa che abbiamo fatto noi”. In attesa di leggere il testo definitivo, dalle bozze e dal comunicato del consiglio dei ministri emerge che il provvedimento ricalca in tutto il “Salvarisparmio” firmato il 23 dicembre 2016 da Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan e sulla cui base l’estate successiva il Tesoro è diventato azionista di maggioranza dell’istituto senese investendo in tutto 6,9 miliardi. Differenti invece i casi delle quattro banche “risolte” nel novembre 2015, per le quali non sono stati spesi soldi pubblici, e di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, cedute a Intesa con una dote di 4,7 miliardi messi dallo Stato.
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