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Storia vera di un lavoratore che non si è fermato
Il virus se ne frega. Se ne frega di cosa sia indispensabile e cosa no. Nel valzer di informazioni che si sono rincorse, messe in circolo da un governo che ha pensato più ad apparire a reti unificate che ad apparire coerente, non è chiaro cosa sia differibile e cosa insostituibile, tra dichiarazioni, smentite, decreti contenenti liste lunghe come le pagine gialle, in cui si afferma tutto e il suo contrario. Ma il virus se ne frega pure di apparenze e apparizioni, se è per quello, e va avanti per la sua strada, noncurante delle due domande esistenziali degli italiani: “posso uscire?” e “devo andare a lavorare?”. Se per la prima, la risposta, nel dubbio, è NO, per la seconda ci vorrebbe una sibillla, o più semplicemente, l’assertività di un datore di lavoro, che molto spesso vista l’incertezza generale, decide per conto proprio.
Vittorio ha 56 anni e vive con la madre invalida al 100% nel villaggio “S.A.E.” (Soluzioni Abitative d’Emergenza) di Spelonga – Arquata del Tronto. Il paesino marchigiano nel 2016 è stato colpito da un forte terremoto che ha cancellato il borgo, ma anche di questo il virus se ne frega (come l’Unione Europea, d’altronde, tanto per cambiare sorda alle richieste d’aiuto che vennero dall’Italia quell’anno). Vittorio anche stamattina si è alzato alle 4, perché deve prendere servizio al polo industriale di Ascoli Piceno. Anzi, un po’ prima, le 3 e mezza, perché fuori nevica anche se è Marzo, in montagna c’è da spalare la neve già alta che ha coperto la macchina, e siccome deve fare 43 km per recarsi al lavoro, è meglio far colazione presto. Il gatto delle nevi non è passato neanche oggi per pulire le strade, non passa mai dal villaggio S.A.E.: forse non esiste neanche un gatto delle nevi. O forse non esiste quel villaggio per lo Stato. Comunque sia, Vittorio è pronto; mascherine, visiera, autocertificazione perché lo fermerà di sicuro la polizia (ed è certamente la quinta o la sesta che stampa, tutte diverse), ed è pronto ad affrontare il suo turno di 8 ore.
A giornata finita, Vittorio può tornare a casa, altri 43 km e cenerà con sua madre, sperando di non contagiarla. Il tempo di farsi una doccia e deve andare a dormire, perché domani mattina si dovrà di nuovo alzare presto. Lo fa da 34 anni, ma adesso inizia a pesargli un po’. Lui è indispensabile.
Ho visto questa storia vera in televisione, l’altra sera. Mi ha colpito al punto che mi ha fatto pensare di essere fortunato, e credo che dovreste pensarlo anche voi: perché magari avete un lavoro in smartworking, perché vi arriva lo stipendio, avete una casa vera, o forse possedete un’azienda sana che sta ancora in piedi. Pensateci, prima di lamentarvi, pensate a Vittorio. È meglio sentirsi fortunati, che intimoriti. Ci vuole leggerezza, forse bisogna fregarsene. Come il virus.
di: Matteo VALLÉRO
Direttore editoriale Business24
articolo uscito nella rubrica IL CAPITALE sul quotidiano La Verità di ieri 2 Aprile 2020[:]