
L’ex colonia rischia di perdere il suo status speciale con gli Stati Uniti
A nulla sono valse le proteste di questi giorni. Pechino ha tirato dritto nella stretta sull’autonomia di Hong Kong. Il Congresso nazionale del popolo, il ramo legislativo del Parlamento cinese, ha approvato la legge sulla sicurezza nazionale per l’ex colonia. E così la sedizione, il separatismo, l’ingerenza straniera e il tradimento diventano reati. In pratica, il dissenso verso il Governo centrale di Pechino viene criminalizzato in tutte le sue forme.
“Ora è il momento che il presidente Trump eserciti il suo potere in linea con le indicazioni del Segretario di Stato Pompeo”, ha dichiarato Joshua Wong, uno dei più noti attivisti pro-democrazia di Hong Kong, nel corso di una conferenza stampa insieme ai membri di Demosisto Agnes Chow e Nathan Law. I suoi commenti arrivano dopo la dichiarazione di ieri del segretario di Stato americano che ha certificato di fronte al Congresso americano che l’alto grado di autonomia di Hong Kong non esiste più. Da Wong è arrivato un appello alla comunità internazionale perché esprima la sua contrarietà alla controversa legge sulla sicurezza nazionale che Pechino ha appena adottato. ”Chiediamo alla comunità internazionale di agire e di tenere gli occhi puntati su Hong Kong. Ora è il momento di agire e combattere”, ha aggiunto.
Il timore di molti osservatori è che la legge venga usata da Pechino per azzerare il movimento pro-democrazia della città. Solo il testo finale potrà dire fino a che punto questo è vero da un punto di vista strettamente legale. Oggi il premier Li Keqiang ha spiegato che Pechino resta fedele a “un Paese, due sistemi” e che la legge aiuterà la stabilità di Hong Kong. Ma questo non ha affatto rassicurato gli animi.
In ogni caso il messaggio politico è già chiaro: Pechino non concede nulla alla città ribelle, anzi riafferma il controllo sulla propria provincia autonoma.
Di fatto però ora rischiano di essere compromessi i rapporti tra Hong Kong e gli Stati Uniti che aveva approvato un anno fa una legge che esentava l’ex colonia dalle tariffe che gli americani hanno imposto alla Cina come parte della guerra commerciale tra i due Paesi. L’unica condizione richiesta? Rimanere autonoma. Cosa alquanto discutibile ora.
Se Hong Kong perde il suo status speciale il commercio di beni e servizi con gli Stati Uniti subirebbe un brutto colpo. Hong Kong è stato nel 2018 il terzo mercato americano per le esportazioni di vino, il quarto mercato per carne bovina e il settimo per quello agricolo nel 2018. “Un rischio maggiore è che la perdita di uno status speciale porta gli Stati Uniti a limitare le vendite di tecnologie sensibili alle aziende di Hong Kong”, ha scritto Mark Williams, capo economista asiatico.
Inoltre ci sono più di 1.300 compagnie statunitensi che operano a Hong Kong e 85.000 americani che vivono in città, secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. “Gran parte del successo di Hong Kong si basa sulla sua capacità di attrarre investimenti diretti esteri e godere dei dividendi di produttività derivanti dall’hosting di aziende competitive a livello internazionale”, si legge in una nota della Camera di commercio americana.
Insomma l’impatto economico per Hong Kong sarà rilevante se perde il suo status speciale con gli Stati Uniti.
di: Maria Lucia PANUCCI
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