
A questo si aggiunge la mancata spesa turistica per un crollo del fatturato del 35% rispetto allo scorso anno
Con lo smart working bar e ristoranti perdono 250 milioni al mese. A stimarlo è la Confesercenti che punta i riflettori sul risvolto negativo che ha il lavoro agile sui pubblici esercizi. Molte attività legate al food&beverage sono dislocate in punti strategici, proprio nelle vicinanze di uffici ed aziende e prima dell’avvento del Coronavirus hanno potuto contare sul grande indotto dovuto al fatto che i dipendenti passassero nei bar e ristoranti vicini la loro pausa pranzo.
Ora è il vuoto più assoluto. Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, sono 1,6 milioni i lavoratori che prestano la loro opera in smart working. Un numero 8 volte superiore a quanto si riscontrasse prima della diffusione del virus, quando le persone che lavoravano da casa erano circa 220 mila. Tutto questo pesa enormemente sulle casse delle attività ristorative che devono fare i conti con una entrata in meno non da poco.
«La possibilità del lavoro a distanza ha svolto un ruolo cruciale nel piegare la curva dell’epidemia ma – avverte Confesercenti – sta determinando elevati costi sociali, che devono essere opportunamente gestiti dalla politica economica. Indagini disponibili evidenziano il rischio che lo smart working aumenti il divario fra lavoratori di livello più elevato e più istruiti e il resto della forza lavoro. Dirompente, per la sua subitanea diffusione, è poi l’impatto che il lavoro a distanza sta avendo appunto sul tessuto commerciale dei luoghi dove prima si concentrava lo svolgimento delle attività lavorative».
E non finisce qui perché bar e ristoranti devono fare i conti anche con l’assenza di turisti quest’anno per cui, conti alla mano, le aziende di settore si ritrovano con ben il 35% in meno del fatturato complessivo, rispetto allo scorso anno.
di: Maria Lucia PANUCCI
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