
A causa della pandemia molti fuori sede sono rientrati nel proprio luogo d’origine per godersi gli affetti. L’economia del Sud ne ha beneficiato, ne risente quella del Nord
Lavorare per le stesse aziende, in Italia o nel mondo, tornando nel proprio luogo d’origine: è il South working, il fenomeno che ha costretto milioni di persone fuori sede a tornare a casa per l’emergenza del Coronavirus, senza però perdere la propria occupazione. Ormai lo smart working sta diventando una pratica sempre più diffusa anche nel nostro Paese ed in questo caso specifico non si tratta semplicemente di lavorare nel proprio domicilio ma di farlo tornando nella propria terra, dove si è nati e cresciuti, con la possibilità di godersi di più anche amici e parenti.
Se da una parte questo fenomeno ha dei risvolti positivi, affettivi ma anche legati alla volontà di rianimare quelle città del Sud popolate ormai solo da anziani perché i giovani migrano in altre terre più produttive, dall’altro proprio le grandi metropoli ne potrebbero risentire se diventasse una modalità di lavoro definitiva. Milano, la città lavoratrice per eccellenza, che ha accolto molti cittadini del Sud, perderebbe migliaia di impiegati. La capitale economica dell’Italia, in 20 anni, ha infatti guadagnato circa 100 mila residenti provenienti da altre Regioni, soprattutto dal Mezzogiorno. Ma ora, dopo la pandemia, e con la possibilità che lo smart working venga prolungato in misura massiccia almeno fino a dicembre, tanti potrebbero abbandonare definitivamente il capoluogo meneghino per tornare nelle zone di origine e lavorare da remoto. E se meno lavoratori e residenti da un lato provocano meno code in auto, dall’altro portano anche meno clientela per bar e ristoranti nelle pause pranzo e meno richieste per il mercato immobiliare. Insomma gira meno l’economia.
Come in tutte le cose ci sono i pro ed i contro. Sta poi ad ogni azienda e realtà produttiva fare le proprie valutazioni.
di: Maria Lucia PANUCCI
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