
Rimangono le criticità della produttività del lavoro e degli investimenti
Notizie confortanti arrivano dall’Istat che conferma che siamo in una fase di ripresa dal Covid-19. Dopo il crollo di marzo, aprile e maggio causato dallo stop forzato delle attività per tenere a bada la pandemia, l’istituto certifica un certo risveglio della nostra economia iniziato a giugno e che è proseguito per tutta l’estate, segno che stiamo provando a rimetterci in carreggiata. «Le informazioni disponibili per i mesi di luglio e agosto, seppure ancora parziali, suggeriscono il proseguimento della fase di ripresa -ha affermato nel corso dell’audizione in Commissione Bilancio della Camera sul Recovery Fund, Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica. – Il clima di fiducia delle imprese è aumentato in entrambi i mesi in tutti i settori economici anche se i livelli degli indicatori sono ancora inferiori a quelli precedenti la crisi, soprattutto nei servizi di mercato. Ulteriori segnali positivi si rilevano a luglio quando, rispetto al mese precedente, si osservano aumenti nei dati dei consumi elettrici e della fatturazione elettronica».
Anche l’export è in risalita. A luglio infatti le stime preliminari sui flussi commerciali con i paesi extra-Ue indicano la prosecuzione della fase di risalita delle vendite all’estero, con un dimezzamento del calo tendenziale dell’export osservato a giugno. «Il livello di produzione industriale registrato a giugno, seppure ancora inferiore del 12,8% rispetto a febbraio, determinerebbe una crescita media del terzo trimestre rispetto al secondo del 16,4%, nell’ipotesi che l’indice restasse invariato nei mesi estivi – ha aggiunto. – Il passaggio da un rimbalzo alla ripresa richiede tuttavia il mantenimento di un sentiero di crescita della produzione industriale positivo anche nei mesi estivi, seppure a tassi mensili più moderati di quelli dei due mesi precedenti».
La produttività del lavoro e gli investimenti sono invece tra le criticità del sistema italiano. Sulla prima questione Monducci ha sottolineato che “l’evoluzione del sistema produttivo italiano è caratterizzata da una fase prolungata di bassa crescita della produttività, con conseguenze rilevanti sugli attuali livelli di sviluppo economico e sulle prospettive future“.
Per quanto riguarda invece la spesa per investimenti “ha presentato nel corso dell’ultimo decennio uno sviluppo poco favorevole con un andamento, grosso modo, analogo a quello generale dell’attività economica“. «Dopo essersi fortemente ridotti per effetto della crisi nel biennio 2008-09, gli investimenti hanno segnato una nuova profonda caduta nella successiva recessione e la risalita degli anni seguenti è stata lenta, con un recupero complessivo meno ampio di quello registrato nel resto dell’Uem», ha evidenziato il direttore . Nel 2019, in Italia, la quota degli investimenti totali sul Pil (misurati a prezzi correnti) è risultata del 18,1%, ben inferiore a quella media dei paesi dell’area euro (pari al 22,0%). Questa incidenza aveva toccato nel nostro Paese un massimo del 21,3% nel 2008 e un minimo del 16,7% nel 2014. «Considerando gli altri tre maggiori paesi membri dell’Uem – ha concluso Monducci – si osserva che quello con la propensione all’investimento più elevata è la Francia, dove la discesa dell’inizio del decennio è stata limitata e la quota sul Pil è poi salita dal 21,5% del 2015 al 23,6% dello scorso anno. In Germania, l’incidenza degli investimenti è scesa poco nella prima metà del decennio ed è aumentata nella fase di espansione, salendo dal 20% del 2015 al 21,6% dello scorso anno. Infine, la Spagna ha registrato un andamento più simile a quello italiano, con un calo piuttosto marcato nella prima parte del periodo, seguito però da un robusto recupero negli anni recenti, che ha riportato la quota di accumulazione al 20% nel 2019».
di: Maria Lucia PANUCCI
Ti potrebbe interessare anche: