
La giornata più difficile sarà il 16 settembre, quando il fisco ci chiederà 187 versamenti
Al via la maratona fiscale di settembre. Da mercoledì prossimo sino a fine mese gli italiani dovranno districarsi tra ben 270 scadenze che comprendono versamenti che sono stati prorogati in questi ultimi mesi a causa del Covid e gli adempimenti ordinari previsti dal calendario. A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia, che sottolinea come a chiederci il conto ci penseranno, in particolar modo, l’Iva, i contributi previdenziali l’Ires, l’Irap e il saldo/acconto Irpef. La giornata più difficile sarà il prossimo 16 settembre quando il fisco ci chiederà 187 versamenti. «Per 15 giorni non avremo tregua e le imprese, in particolar modo quelle di piccola dimensione, saranno sottoposte ad un forte prelievo. Il groviglio di scadenze tese dall’erario non ci lascerà scampo e in attesa della semplificazione fiscale e del tanto agognato taglio delle tasse, l’unica certezza su cui potremo contare è che ancora una volta dovremo mettere mano pesantemente al portafoglio», ha detto il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo.
Negli ultimi 40 anni la serie storica della pressione fiscale registrata in Italia è salita di 11 punti percentuali. «Se nel 1980 era al 31,4%, nel 2019 si è attestata al 42,4% – sottolinea lo studio. – La punta massima è stata raggiunta 2013, quando il prelievo ha raggiunto la soglia del 43,4% a seguito dell’inasprimento della tassazione imposto dal governo Monti che ha reintrodotto la tassa sulla prima casa, ha aumentato i contributi Inps sui lavoratori autonomi, ha inasprito il prelievo fiscale sugli immobili strumentali, ha ritoccato all’insù il bollo auto».
Secondo la Cgia è necessario avere un sistema fiscale più semplice, meno esoso e più giusto. «Solo con un drastico taglio delle tasse e una forte iniezione di liquidità – ha dichiarato il segretario Renato Mason – possiamo aiutare concretamente il mondo delle micro e piccole imprese. Altrimenti, rischiamo una moria senza precedenti che desertificherà tantissime zone produttive e altrettanti centri storici sia di piccole che di grandi città, minando la coesione sociale che in questo Paese è il pilastro su cui si basa la nostra economia».
Oltre a questo bisogna anche alleggerire la burocrazia fiscale che pesa tre miliardi l’anno. Un costo che penalizza soprattutto i piccoli imprenditori che, a differenza delle medie e grandi aziende, non dispongono di strutture amministrative interne all’azienda in grado di occuparsi di questa situazione.
di: Maria Lucia PANUCCI
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