
Ogni anno l’espatrio si quantifica in una grossa perdita di capitale umano
La cosiddetta fuga di cervelli è un grosso problema per l’Italia, un fenomeno in crescita, graduale ed inesorabile. Secondo i dati Istat nel 2018 sono partiti 117 mila giovani tra cui 30 mila laureati.
Il fenomeno riguarda tutto il territorio nazionale ma coinvolge principalmente le regioni del Meridione dove il mercato del lavoro non offre possibilità di carriera e soddisfazione personale. Per perseguire i propri obiettivi i giovani sono costretti a spostarsi, spesso nelle regioni del Nord, ma sempre più frequentemente all’estero. Il 48,9% dei residenti all’estero è originario del Sud Italia, il 35,5% del Nord e il 15,6% del Centro.
Secondo una ricerca della Roma Business School la fuga di giovani oltre i confini nazionali costa cara alle casse pubbliche: tra i 25 e i 30 miliardi di euro all’anno. Per non parlare della perdita in termini di capitale umano: il 72% del totale degli espatriati hanno 25 anni e il 32% di questi sono laureati.
Si tratta soprattutto di esperti di digital marketing, energy manager, data scientist e i profili legati al legal tech. Perciò la perdita è considerevole anche dal punto di vista dell’innovazione del Paese.
Per invertire la tendenza e tenere a casa i giovani sono state adottate diverse misure economiche dal Governo, tra cui gli sgravi fiscali introdotti dal decreto Crescita, che ha previsto per i lavoratori rimpatriati un abbattimento dell’imponibile dal 50 al 70%, e dal decreto Rilancio, attraverso cui lo Stato ha stanziato un miliardo e 400 milioni di euro per l’assunzione di ricercatori da diluire in due anni.
Fra le mete di espatrio più ambite rimane al primo posto il Regno Unito, benché questi dati siano destinati a cambiare a causa della Brexit, seguito da Germania, Francia, Svizzera e Spagna.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA
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