
Il nodo sul Recovery Fund è molto più complesso di quanto la politica faccia pensare
L’Italia si sta preparando a ricevere il pacchetto dei fondi del Recovery Fund ma ci sono molte preoccupazioni nei riguardi delle modalità di utilizzo (leggi qui). La discussione non è solo politica, perché più volte il Paese ha dimostrato di essere incapace di utilizzare le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea.
Proprio partendo da questo principio il Governo ha studiato la task force composta da 6 manager e un centinaio di tecnici per tentare di superare le problematiche sorte fino a questo momento, una struttura parallela che non è stata ufficializzata, ma che potrebbe essere utile per arginare il problema amministrativo, burocratico e politico che ha paralizzato l’Italia in passato.
Partiamo dal primo nodo. Gli impiegati dell’amministrazione pubblica in Italia hanno un’età molto più alta rispetto a quella degli altri Paesi europei: in media 50,7 anni. Anche la percentuale di laureati è esigua: solo quattro su 10 dei dipendenti pubblici ha la laurea e quelli che la hanno di solito hanno ottenuto il titolo in giurisprudenza o economia. Si tratta di dati questi che rendono abbastanza chiaro il motivo per cui sembra difficile favorire la digitalizzazione nella scuola, risolvere dissesti idrogeologici o migliorare la raccolta differenziata. Servirebbero profili diversi, più giovani e con una preparazione maggiormente tecnica, che però al momento non ci sono. Un problema recriminato dalla stessa Unione Europea: «l’amministrazione italiana ha modalità ottocentesche per assumere dipendenti e collaboratori – ha fatto presente una fonte da Bruxelles – basti pensare che nel concorso indetto nel 2019 dal Comune di Milano le prove da sostenere riguardavano argomenti di diritto civile, amministrativo e penale».
Un altro problema è legato alla burocrazia infinita dell’Unione Europea, che rende difficile seguire le procedure per accedere ai finanziamenti. Inoltre con le clausole della condizionalità ex ante e la regola “n+3” che prevede che i progetti debbano essere conclusi entro tre anni dopo il termine indicato all’avvio dei lavori, l’Ue ha reso ancora più difficile l’assorbimento dei fondi.
Infine, esiste un problema politico: i partiti preferiscono appoggiare piccoli progetti che assicurino pacchetti di voti piuttosto che le strutture amministrative e burocratiche che sono fondamentali per la creazione e lo svolgimento dei progetti.
Tutte queste mancanze hanno fatto sì che dei 44,8 miliardi di euro ricevuti con l’accordo di partenariato stipulato fra Italia e Unione Europea nel 2014, le autorità italiane abbiano speso solo il 38%, inserendosi al penultimo posto nella classifica per capacità di assorbimento dei fondi del bilancio. Un primato che corre il rischio di essere ripetuto con il Recovery Fund.
di: Micaela FERRARO
FOTO: ANSA
Ti potrebbe interessare anche: