
Le indagine sono durate due anni e mezzo per una inchiesta monstre che ha coinvolto oltre 200 testimoni, migliaia di intercettazioni con quasi due mila pagine di accuse. I periti del pm: “Ignorati i segnali d’allarme”
La procura di Genova ha chiuso le indagini per il crollo del ponte Morandi, il viadotto autostradale della A10 in parte collassato il 14 agosto 2018 causando la morte di ben 43 persone. In queste ore la guardia di finanza sta notificando gli avvisi agli indagati.
L’inchiesta è durata quasi tre anni, nel corso dei quali sono stati eseguiti due incidenti probatori, uno sullo stato di salute del viadotto e un secondo sulle cause vere e proprie del crollo che si è chiuso a fine febbraio.
Un’indagine monstre: oltre 200 testimoni, migliaia di intercettazioni, delle quali 480 accolte dal giudice, 60 terabyte di materiale sequestrato da computer e telefonini, quasi due mila pagine complessive di accuse, che vanno dal disastro e omicidio colposo all’attentato alla sicurezza dei trasporti alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Da ultimo, anche l’omicidio stradale. Una montagna di carte e di file analizzati dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno e da 15 uomini della Guardia di Finanza. «Non abbiamo perso un solo giorno da quando è crollato il ponte», ha detto con orgoglio il procuratore Francesco Cozzi che ha coordinato il tutto con il suo vice Paolo D’Ovidio.
Secondo la ricostruzione accurata fatta dagli inquirenti il primo elemento a cadere è stato lo strallo della pila 9, cioè il tirante di cemento e acciaio che reggeva la strada. Poi tra il cedimento iniziale e la caduta a terra dell’ultimo elemento sono intercorsi pochi secondi. Le due antenne sono precipitate per ultime. «Nonostante numerosi segni premonitori, nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto. Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcun sostanziale intervento di manutenzione», si legge nelle carte.
Gli avvisi di conclusione indagini consegnati sono 69, tra manager, tecnici e dirigenti pubblici e privati, ai quali si aggiungono le due società coinvolte, Aspi e Spea, entrambe del gruppo Benetton.
Dalla tragedia sono nati altri filoni di indagine cha hanno fatto luce sul modus operandi del vecchio management dell’azienda improntato, secondo l’accusa, al massimo risparmio sulle manutenzioni per garantire maggiori dividendi ai soci. La Procura ha aperto fascicoli per i falsi report sullo stato di salute di altri viadotti, sulle barriere fonoassorbenti pericolose, fino alle gallerie dopo il crollo della volta della galleria Berté il 30 dicembre 2019.
In tutti i filoni di indagine sono coinvolti l’ex a.d. di Aspi Giovanni Castellucci, finito anche ai domiciliari poi tramutati in interdittiva per un anno, l’ex numero due Paolo Berti e l’ex numero tre Michele Donferri Mitelli.
di: Maria Lucia PANUCCI
FOTO: ANSA/FLAVIO LO SCALZO
Ti potrebbe interessare anche: