
L’inchiesta di Littler rivela come i datori di lavoro stiano ripensando gli spazi lavorativi e i piani organizzativi
Il dibattito pubblico sullo smart working è tutt’altro che esaurito. A questo spinoso argomento si aggiunge un contributo di Littler, studio specializzato nel diritto del lavoro che ha dedicato la sua indagine annuale European Employer Survey proprio al ripensamento delle sedi di lavoro e alla valutazione delle soluzioni adottate finora.
Il report, alla sua quarta edizione, ha come campione di riferimento oltre 530 dirigenti delle risorse umane ma anche leader e avvocati interni, tutti provenienti da imprese europee (prettamente occidentali e meridionali).
La linea generale osservata dal report per quanto riguarda le imprese italiane è quella di una generale “impazienza” nel far rientrare i dipendenti in ufficio, fermo restando che “i datori di lavoro sono impegnati a garantire flessibilità“, come evidenziano i managing partner di Littler in Italia Carlo Majer ed Edgardo Ratti.
In Italia il 65% delle aziende ha previsto dei piani di rientro in ufficio per accelerare il ritorno in presenza. Una media vicina a quella francese (62%) ma lontana ad esempio dalla Germania, dove questa è stata una priorità solo per il 28% delle aziende. In generale, a livello europeo, a fine settembre il 52% degli intervistati ha dichiarato di essere coinvolto in un piano di rientro, mentre si aspettava un prolungamento dello smart working al 2022 il 18% del campione.
Ma che cosa ne pensano i dipendenti? Il divario fra le aspettative e la realtà è netto in tal senso: solo il 28% dei lavoratori ritiene congrui i piani di rientro al lavoro. Convinzione condivisa dal 52% dei datori di lavoro per i quali i dipendenti preferiscono di gran lunga soluzioni ibride o da remoto, specialmente in Germani, Regno Unito e Spagna.
Le preoccupazioni dei datori di lavoro sono in tal senso duplici: da un lato, il 73% degli intervistati è preoccupato che lo sconvolgimento del modello tradizionale possa incidere sul benessere psicologico dei dipendenti e il 53% dei manager vede nella flessibilità degli orari di lavoro una buona soluzione.
Dall’altro lato, le aziende “hanno iniziato a considerare i modelli di lavoro ibridi sempre meno come un’opportunità per migliorare l’efficienza o tagliare i costi e sempre più, invece, come un modo per attrarre nuovi dipendenti e mantenere la soddisfazione di quelli attuali“, proseguono Ratti e Majer.
Un “segnale positivo” come evidenziato anche dal coordinating partner international di Littler Stephan Swinkels che però “dovrebbe essere accompagnata da altri strumenti o benefit, come la formazione e la programmazione interna“.
Sono utili in tal senso anche la trasformazione digitale, già promossa da alcuni datori di lavoro all’interno delle aziende, e l’impiego di Intelligenza Artificiale e analisi dei dati, misure queste in cui è invece necessario tornare a investire.
Per quanto riguarda infine la perdita del posto di lavoro, l’inchiesta rivela come nel 60% dei casi non sono state effettuate riduzioni di personale e oltre il 40% non prevede di farlo.
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA
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