Se da una parte il lavoro da remoto è stato una grande risorsa durante l’emergenza sanitaria, sul lungo periodo potrebbe danneggiare la salute fisica e psicologica dei lavoratori
Lo smart working comporta solo vantaggi? Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) no: la modalità di lavoro da remoto, ormai tanto nota, comporterebbe anche dei rischi.
Le organizzazioni, infatti, hanno lanciato l’allerta su diversi aspetti del lavorare da casa che potrebbero, a lunga andare, danneggiare i lavoratori. «Nei due anni di pandemia è diventato chiaro che il telelavoro può portare benefici, ma può anche avere un impatto terribile sulle persone – commenta a tal proposito Maria Neira, direttore del dipartimento per Ambiente, cambiamenti climatici e salute dell’Oms. – Il modo in cui oscilla il pendolo dipende dal modo in cui governi, datori di lavoro e lavoratori riescono a collaborare per realizzare politiche e azioni pratiche a beneficio sia dei lavoratori che del lavoro».
Tra i maggiori rischi ci sarebbero, innanzitutto, il rischio di isolamento sociale e di depressione, oltre che di una vita più sedentaria e aumento di cattive abitudini, tra cui il consumo di alcol e fumo.
Da non sottovalutare poi anche l’impatto sull’apparato muscolo-scheletrico e sugli occhi, dovuto al tempo passato davanti a uno schermo, oltre che gli effetti negativi sul sonno causati da orari di lavoro irregolari.
«Il Governo Draghi ha fatto una grande scelta: vaccini e presenza, vaccini e gente sul posto di lavoro. Non lo smart working, non chiudersi in casa e non vaccinarsi, ma vaccini, vaccini, vaccini, con tutti gli strumenti possibili – è la posizione sostenuta dal ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. – Piuttosto che chiusi a casa, con il telefonino sulla bottiglia del latte a fare finta di fare smart working, è meglio puntare su vaccini, vaccini, vaccini e presenza, con una migliore organizzazione del lavoro».
Di posizioni meno estreme è, invece, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: «lo smart working può aiutare, è una grande occasione che può essere colta anche dal Mezzogiorno, soprattutto per le aree interna. Un po’ di demonizzazione fatta va rivista, lo dicono le grandi Company: è un modo per ripensare le nostre città, il rapporto tra lavoro e tempo libero, tra periferie e centro».
Sembrerebbe comunque che con l’affievolirsi dell’emergenza siano diminuiti anche i casi di smart working e telelavoro. Secondo i dati Istat del report Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19, le due modalità sono state meno frequenti nel secondo semestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020 ma sono rimaste molto utilizzate nei servizi e nelle grandi imprese.
In particolare, la quota di imprese che segnalano l’utilizzo del lavoro a distanza nella seconda metà del 2021 è risultata del 6,6%, a fronte dell’11,3% registrato nello stesso periodo del 2020.
di: Alessia MALCAUS
FOTO: ANSA/EPA/APPLE INC
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