
Tanto nel pubblico quanto nel privato, l’indebitamento può contribuire a produrre ricchezza o alimentare una spirale negativa
«Ciò che rende il debito buono, o cattivo, è l’uso che si fa delle risorse impiegate. Questa distinzione è particolarmente importante in una fase di transizione come quella attuale, in cui possono essere più marcate le differenze di produttività tra i progetti in cui è possibile investire». Così qualche mese fa Mario Draghi spiegava una differenza non solo teorica ma sostanziale fra debito “buono” e debito “cattivo”, parlando all’Accademia dei Lincei.
Nel nostro Paese la questione del debito riguarda sia il pubblico sia il privato. Il rapporto fra il debito pubblico italiano e il Pil dello Stato si aggiorna attorno al 156,3%, a fronte di una media Ue del 102,20%.
Questo dato è sistematicamente cresciuto dal 1980 ad oggi perché le uscite dello Stato sono state sistematicamente superiori alle entrate: il risultato è un deficit strutturale che si finanzia a sua volta solo con altri debiti.
La presenza di debito pubblico, che cerca un finanziamento nei mercati, produce a sua volta interessi passivi per le nuove emissioni, fissati dalle Autorità Monetarie Europee, e dunque incide anche sulla politica monetaria degli istituti di credito centrali e sull’inflazione.
In Italia negli ultimi anni il tasso medio di interessi del debito pubblico è stato superiore al tasso di crescita, ed è per questo che il debito pubblico ha continuato a crescere.
Non è però il debito in sé a essere “cattivo”: accumulare debito può significare anche attingere a una fonte di produzione di valore economico, ad esempio per realizzare investimenti nelle infrastrutture che contribuiscono all’aumento della produzione di uno specifico settore. Oppure, può essere rimborsato alla sua scadenza sulla base della previsione delle entrate pubbliche ordinarie.
Viceversa, costituisce un “debito cattivo” quello che finanzia le spese improduttive oppure quello che viene concesso senza la certezza di poter essere rimborsato alla scadenza. A tal proposito bisogna considerare tutti gli effetti prodotti dal debito, che in alcuni casi contribuisce ad aumentare i consumi e quindi, in parte, a produrre ricchezza.
Per quanto riguarda il debito privato, il sistema delle imprese italiano si caratterizza per una sottocapitalizzazione: questo significa che le aziende hanno esigenza di ricorrere al debito anche per le proprie spese di gestione ordinaria. Solitamente questo credito viene fornito dai fidi bancari.
Anche in questo caso è necessario scindere fra debito buono e debito cattivo: nel primo caso il credito finanzia il processo produttivo e consente di produrre ulteriore valore, costituendo quindi un vero e proprio asset.
Si parla invece di debito privato “cattivo” quando la somma concessa copre, naturalmente solo per un tempo limitato, le precedenti perdite economiche gestionali: in questo modo aumentano anche i costi di esercizio e, progressivamente, anche le perdite della gestione tipica, mentre la produzione non viene stimolata a generare più ricchezza.
È per questo che quando si parla di debito buono o cattivo si impiega anche il termine “fiducia”: in gergo si parla di bancabilità di un’impresa, ossia del grado di fiducia che gli istituti di credito nutrono nei confronti di un’azienda consentendole quindi di sviluppare debito “buono”. Una valutazione che dipende anche dalla qualità delle banche stesse, in nome di un principio di correttezza e di legalità che lo Stato sempre più delega agli istituti creditizi.
«Il debito può rafforzarci, se ci permette di migliorare il benessere del nostro Paese, come è avvenuto durante la pandemia. Ci può rendere più fragili se, come troppo spesso è accaduto in passato, le risorse vengono sprecate – aveva spiegato Draghi – il debito può unirci, se ci aiuta a raggiungere il nostro obiettivo di prosperità sostenibile, nel nostro Paese e in Europa. Ma il debito ci può anche dividere, se solleva lo spettro dell’azzardo morale e dei trasferimenti di bilancio, come ha fatto dopo la crisi finanziaria».
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
Potrebbe interessarti anche: