Il fenomeno è sotto il mirino di varie associazioni di consumatori che hanno già presentato diversi esposti all’Authority
La corsa al rialzo dell’inflazione che caratterizza l’attuale scenario economico si dispiega in diversi modi, che è importante conoscere per cercare di tutelare i propri acquisti; uno di questi è il fenomeno della shrinkflation (da shrink, ossia “restringere”).
La shrinkflation si verifica quando il prezzo del bene acquistato rimane lo stesso ma si riducono la quantità, il peso o la dimensione del prodotto (o il numero di servizi). In questo modo su camuffa l’aumento dei costi al consumatore che, se poco attento, non percepisce l’effetto dell’inflazione sulla sua spesa.
Per questo, negli ultimi giorni le associazioni di consumatori hanno deciso di sollevare il tema davanti all’opinione pubblica. Il Codacons ha già presentato un esposto all’Antitrust e a 104 Procure in tutta Italia, chiedendo di aprire delle indagini per verificare se la pratica della shrinkflation possa costituire un qualche tipo di reato.
In effetti, come spiega l’associazione, si tratta di un “trucchetto che consente enormi guadagni alle aziende produttrici ma di fatto svuota i carrelli e le tasche dei consumatori, realizzando una sorta di ‘inflazione occulta‘” da cui è difficile tutelarsi nel momento in cui il cartellino del prezzo rimane immutato.
«I consumatori, infatti, tendono ad essere sempre sensibili al prezzo, ma potrebbero non notare piccoli cambiamenti nella confezione o non fare caso alle indicazioni, scritte in piccolo, sulle dimensioni o sul peso di un prodotto» spiega ancora il Codacons.
Al momento, stando ai dati Istat, ci sarebbero almeno 7.306 casi accertati di shrinkflation in Italia, con picchi nel settore merceologico di “zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele (in 613 casi diminuzione della quantità e aumento del prezzo) e in quello del pane e dei cereali (788 casi in cui, però, si è riscontrata solo una riduzione delle confezioni)“.
«Bibite, succhi di frutta, latte, formaggi, creme, lozioni sono le altre categorie di prodotti a cui è bene prestare particolare attenzione» ammonisce ancora l’associazione.
Questo fenomeno è stato individuato anche con i prodotti pasquali; l’Unione Nazionale Consumatori ad esempio ha presentato un esposto all’Authority evidenziando come alcune colombe di un chilo già commercializzate l’anno scorso quest’anno siano tornate sugli scaffali con lo stesso prezzo e la stessa confezione ma un peso di 750 grammi.
In questo caso “ridurre il peso è una pratica legittima, a patto che non si inganni il consumatore medio inducendolo in errore rispetto al prezzo effettivamente praticato, falsandone il processo decisionale“.
Una pratica simile è stata evidenziate nelle mozzarelle (che diventano da 100 grammi anziché da 125), il caffè (da 225 al posto di quello da 250 grammi), la pasta, il tè (con 20 bustine invece di 25). Sono stati richiesti dei controlli anche sui negozianti che omettono di indicare il prezzo per unità di misura, in violazione dell’articolo 17 del Codice del Consumo.
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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