Solo attraverso il consumo di pesce ogni anno l’uomo assimila almeno 53mila microplastiche
Dal pesce al miele, dal sale al dentifricio: negli ultimi anni le ricerche sulla presenza di microplastiche nel cibo e nei prodotti cosmetici sono aumentate a dismisura, di pari passo con la consapevolezza sui rischi connessi all’assunzione di sostanze “contaminate” con materiale plastico.
Se da un lato è bene conoscere il problema connesso alle microplastiche, è anche vero che con una spesa consapevole e attenta è possibile ridurre notevolmente l’assunzione di queste sostanze dannose, ricordando comunque che evitarle del tutto è praticamente impossibile.
Se riuscissimo ad analizzare ogni singolo cibo che ingeriamo, infatti, al momento si stima una probabilità superiore al 50% di rinvenire una quantità anche minima di microplastiche
In una recente ricerca commissionata dal Fatto Quotidiano in collaborazione con Greenpeace è emerso come le categorie di alimenti esposte ad un maggiore rischio di contaminazione da microplastiche siano i pesci e il sale, che riflettono l’inquinamento dei mari, ma anche il miele, il latte e i soft drink.
Mentre sull’inquinamento di carne, frutta, verdura e legumi (certamente portatori di una minima percentuale di microplastiche) sono stati condotti ancora pochi studi, l’evidenza al momento più riconosciuta dal mondo scientifico riguarda proprio il pesce.
«Per il 59% si tratta di pesci ossei come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi – spiega il report del Fatto Quotidiano – per il restante 41% di altri animali marini come mammiferi, meduse, tartarughe, uccelli, ma anche di specie che finiscono sulle tavole di tutto il mondo, come crostacei e molluschi».
«In base al consumo di pesce e alle quantità di plastica ritrovate nelle specie si stima che l’assunzione annuale di microplastiche da parte dell’essere umano attraverso il consumo di animali marini è di circa 53mila microplastiche (fino a 27mila microplastiche dai molluschi, fino a 17mila dai crostacei e fino a 8mila dai pesci)» precisa in merito il Wwf.
Conferma il dato anche Stefania Gorbi, docente presso il Dipartimento di Scienze della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università Politecnica delle Marche, secondo cui le nanoplastiche, ancora più insidiose per l’essere umano poiché penetrano nel sangue attraversando i tessuti, sono presenti nel 99% delle ricerche fatte sui pesci attualmente a disposizione.
Per altre tipologie di alimenti il problema non è connesso tanto all’inquinamento dell’ambiente quanto più all’impiego di contenitori in plastica e a lunghe catene di distribuzione. Basti citare uno studio del 2018, riportato anche dal Fatto, secondo cui tutte le bevande delle principali companies imbottigliate in platica (Seven Up, Pepsi, San Benedetto, Schweppes, Beltè, Coca-Cola, Fanta, Sprite) contenevano microplastiche per un valore minimo di minimo di 0,89 mpp/l (microparticelle per litro) e massimo di 18,89 mpp/l.
di: Marianna MANCINI
FOTO: PIXABAY
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