Il teste dell’accusa parla di condizioni di lavoro degradanti per i rider di Uber. Il Garante della privacy sanziona Uber per oltre quattro milioni per la poca trasparenza nel trattamento dei dati utenti italiani
«Si faceva leva sulle condizioni dei rider, che provenivano da situazioni disagiate, erano richiedenti asilo per motivi politici e dovevano sottoscrivere queste condizioni degradanti di lavoro, erano sottopagati e ricevevano dalle società intermediarie tre euro netti a consegna». A parlare è un investigatore della Gdf di Milano che ha ricostruito le modalità di lavoro dei fattorini che facevano le consegne di cibo a domicilio, sentito come primo teste dell’accusa nel processo milanese a carico della manager di Uber Italy Gloria Bresciani che è stata sospesa perché accusata di caporalato (ne abbiamo parlato qui).
«I rider – ha spiegato ancora – sottoscrivevano una scheda in cui c’era scritto che gli importi che comparivano sull’applicazione del servizio Uber Eats per le loro consegne erano errati. Sulla app, infatti, venivano visualizzati anche i rimborsi forfettari chilometrici e i bonus applicabili per le condizioni climatiche, ma i responsabili delle società intermediarie, Frc e Flash Road City, dicevano ai rider che loro avrebbero percepito sempre e comunque tre euro a consegna».
Nel dibattimento nelle prossime udienze verrà ascoltatoun fattorino, come richiesto dalla Cgil che si è costituita parte civile nel processo così come la Camera del Lavoro di Milano.
Ma questa non è l’unica spada di Damocle che pende su Uber. Due sanzioni da due milioni e 120 mila euro ciascuna sono state comminate dal Garante privacy a Uber B.V., con sede legale ad Amsterdam, e a Uber Technologies Inc, con sede legale a San Francisco, ritenute entrambe responsabili delle violazioni commesse nei confronti di oltre un milione e mezzo di utenti italiani, tra autisti e passeggeri.
Informativa inidonea, dati trattati senza consenso, mancata notificazione all’Autorità sono le violazioni riscontrate dal Garante nel corso di accertamenti ispettivi effettuati presso Uber Italy a seguito di un data breach reso pubblico dalla capofila statunitense nel 2017.
di: Maria Lucia PANUCCI
FOTO: SHUTTERSTOCK
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