Il divieto avrebbe lo scopo principale di tutelare la classe dirigente da possibili ripercussioni internazionali come quelle subite dai cittadini russi in questi giorni
Il Partito Comunista cinese vuole porre restrizioni ai quadri dirigenti i cui coniugi o figli abbiano in possesso beni all’estero. La notizia è trapelata da alcune fonti del WSJ e non è ancora noto se le misure si applichino retroattivamente o se le disposizioni saranno rese pubbliche.
Scopo del provvedimento è isolare e dunque “proteggere” i funzionari cinesi dai rischi connessi alle sanzioni internazionali contro la Russia che spesso, come abbiamo visto, si sono tradotte nel congelamento dei beni dei cittadini all’estero.
In particolare, secondo una nota interna del Dipartimento dell’Organizzazione Centrale del partito, i coniugi e i figli di funzionari di livello ministeriale non possono detenere, direttamente o indirettamente, proprietà immobiliari all’estero o azioni in entità registrate all’estero.
È stato sancito inoltre il divieto di aprire conti presso istituzioni finanziarie estere, a meno che non sussistano motivi legittimi per farlo, come studio o lavoro.
Il divieto avrebbe quindi un duplice scopo. Da un lato si vogliono minimizzare i “rischi geopolitici” per il Partito Comunista, scongiurando che anche i leader cinesi e i loro parenti subiscano le sanzioni occidentali così come è avvenuto per quelli russi.
Dall’altro occorre ricordare che il presidente cinese e segretario generale del Pcc Xi Jinping si appresta, a fine anno, a guidare il XX congresso nazionale del partito. Il presidente con ogni probabilità confermerà la sua leadership, ricevendo il terzo mandato quinquennale, ma allo stesso tempo affronterà un rinnovo della classe dirigente a lui vicina.
Le restrizioni dunque non sarebbero che un ennesimo meccanismo di controllo della lealtà dei funzionari e delle loro operazioni, anche alla luce delle nuove minacce globali-
di: Marianna MANCINI
FOTO: ANSA/EPA/WU HONG
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