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L’oro illegale nelle big tech, l’inchiesta che inchioda Apple, Google, Amazon e Microsoft

Marianna Mancini
30 Luglio 2022
L’oro illegale nelle big tech, l’inchiesta che inchioda Apple, Google, Amazon e Microsoft
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Uno scoop di Reporter Brasil dimostra come le quattro grandi del tech sfrutterebbero oro estratto illegalmente dalle terre indigene in Brasile per le proprie componenti Secondo uno scoop esclusivo di […]

Uno scoop di Reporter Brasil dimostra come le quattro grandi del tech sfrutterebbero oro estratto illegalmente dalle terre indigene in Brasile per le proprie componenti

Secondo uno scoop esclusivo di Repórter Brasil le big tech come Apple, Google, Amazon e Microsoft sfrutterebbero oro illegale estratto dalle terre indigene brasiliane per le proprie componenti.

In questa inchiesta sono coinvolte anche due raffinerie. Si tratta del l’italiana Chimet e della brasiliana Marsam “la cui produzione è contaminata dal metallo estratto dalle miniere clandestine” che viene poi rivenduto alle big Usa. Queste tech sfruttano poi i filamenti d’oro nella produzione di telefoni e computer per quanto riguarda Apple e Microsoft e nei server di Google e Amazon.

Secondo alcuni documenti recuperati dai reporter della testata fra il 2020 e il 2021 i quattro giganti hanno acquistato l’oro da diverse raffinerie, comprese la Chimet già indagata dalla Polizia federale brasiliana per ricevere il minerale estratto dalle miniere clandestine di Kayapó, terra indigena, e la Marsam; quest’ultima non è direttamente indagata ma il suo fornitore è accusato di aver provocato danni ambientali estraendo illegalmente l’oro.

Ad oggi, infatti, l’estrazione di minerali dalle terre indigene è incostituzionale in Brasile. Questa pratica che porta con sé moltissimi rischi per l’ambiente e per l’uomo (basti pensare alle intossicazioni da mercurio) fa sempre più gola alla criminalità organizzata. Non sono rare nemmeno le notizie di vere e proprie incursioni dei minatori contro gli indigeni – ricordiamo ad esempio quanto successo nel maggio del 2021 ad una comunità yanomami in Brasile.

Nonostante le prove che le due raffinerie abbiano acquistato oro estratto illegalmente da questi territori, sia la Chimet sia Marsam sembrano passare i controlli di Usa ed Europa che le ritengono rivenditori “affidabili”.

Per frenare la “corsa all’oro” delle grandi aziende che giocano al ribasso con i diritti dell’uomo e la tutela dell’ambiente, dal 2010 è stata introdotta una legge per cui le società quotate a Wall Street devono segnalare ogni anno se utilizzano “minerali di conflitto”, provenienti dunque da aree a rischio nelle loro filiere produttive. Una regola vera soprattutto per le grandi corp dell’elettronica che nel 2019 hanno consumato il 37% dell’oro totalmente impiegato negli States.

Il problema, però, è che il Brasile non è considerata un'”area a rischio”, nonostante non disponga di “meccanismi affidabili di tracciabilità dell’oro, quindi c’è un grande rischio di certificare metallo contaminato da violazioni dei diritti umani nelle terre indigene dell’Amazzonia” come spiega il consulente legale dell’Instituto Socioambiental Rodrigo Oliveira.

Nessun veto neppure dai certificatori che attestano l’affidabilità delle due raffinerie, la London Bullion Market Association per Chimet e la Responsible Minerals Initiative per Marsam.

«Sia la SEC che le società statunitensi chiudono un occhio sull’origine dell’oro che arriva nel paese» accusa ancora Payal Sampat, direttore del programma minerario di Earthworks citato dall’inchiesta.

Secondo uno studio riportato da Oliveira, il 28% dell’oro estratto in Brasile ha origini illegali.

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