Le griffe hanno presentato semestrali con numeri positivi in doppia cifra, dalla Cina agli Usa, passando per l’Europa. Settore in controtendenza o solo in ritardo?
Le semestrali dei grandi marchi del lusso hanno presentato tutte progressi in doppia cifra, in controtendenza con i mercati globali.
Qualche esempio: la casa produttrice delle borse Birkin, “capricci” da 10.000 dollari, quotata in borsa a Parigi, ha segnato un aumento delle vendite del 23%, tendenza confermata in tutto il mondo. Stessa crescita per Hermès, in particolare nella Cina continentale, ancora colpita dai lockdown locali.
All’inizio della settimana altri nomi europei hanno registrato tendenze simili. Il proprietario di Christian Dior, LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy), ha dichiarato che le vendite sono aumentate del 21% nel semestre. Kering è cresciuta del 16%, anche se il suo marchio Gucci, che genera la maggior parte degli utili del gruppo, è apparso un po’ debole negli Stati Uniti.
Nonostante i media parlino di un sentimento dei consumatori ai minimi storici nell’eurozona, gli acquisti griffati crescono sia in Europa che negli Usa. Molti marchi del lusso hanno più che raddoppiato le loro vendite in America rispetto ai livelli pre-pandemici e le boutique di Parigi e Milano sono ora piene di turisti statunitensi che approfittano della debolezza dell’euro rispetto al dollaro.
Il contrasto con le difficoltà delle più popolari Walmart e Amazon.com, che hanno dichiarato cali nelle vendite, è evidente.
Richiesta di beni di lusso come segnale della recessione o semplicemente settore in ritardo sulla tendenza? Gli investitori si sono preoccupati di quanto a lungo possa continuare la corsa agli acquisti, ma sembrano essere rassicurati dagli ultimi guadagni. Venerdì 29 le azioni di Hermès hanno guadagnato l’8% nelle prime contrattazioni, un’oscillazione insolitamente grande per un titolo tradizionalmente considerato un bene rifugio. Nell’ultimo decennio, il titolo ha chiuso in rialzo di oltre il 5% solo una dozzina di volte.