È quanto emerge dal Rapporto realizzato dal Consiglio Nazionale del Giovani in collaborazione con Eures
Quasi un giovane lavoratore su due è convinto di essere sottopagato. È quanto emerge dal Rapporto realizzato dal Consiglio Nazionale del Giovani in collaborazione con Eures dal titolo “Nuove professioni e nuove marginalità. Opportunità, lavori e diritti per i giovani del terzo millennio”.
Secondo il rapporto, oltre la metà degli under 35 (il 54%) ritiene di essere pagato in misura complessivamente consona rispetto al lavoro svolto, ma c’è comunque una percentuale di poco inferiore (il 46%) che esprime l’opinione contraria, ritenendo di ricevere una retribuzione inadeguata.
Se infatti circa un giovane lavoratore su due (48%) percepisce una retribuzione fissa mensile, nella maggior parte dei casi si tratta di compensi in tutto o in parte variabili, che difficilmente possono sostenere la costruzione di progetti di vita o investimenti a medio-lungo termine.
Le maggiori criticità si registrano, in particolare, tra i giovani lavoratori delle professioni digitali, tra i quali è maggioritaria la denuncia di un lavoro “sottopagato” (52%) mentre, sul fronte opposto, è “soltanto” il 37% dei lavoratori “qualificati” del terziario a condividere questo giudizio. Per poco più di quattro giovani intervistati su dieci (43%), infatti, la retribuzione mensile è inferiore a 1.000 euro, solo un terzo dei giovani (33%) riceve una retribuzione più dignitosa, compresa cioè tra 1.000 e 1.500 euro, mentre meno di uno su quattro (il 24%) supera i 1.500 euro netti mensili.
«L’analisi evidenzia in maniera plastica la debolezza contrattuale dei giovani già al momento della ricerca del rapporto di lavoro: comunicazioni omissive o completamente disattese al colloquio sia in termini di impegno orario che di livelli retributivi», osserva Alessandro Fortuna, Consigliere di presidenza del CNG.
«Registriamo, poi – aggiunge – offerte di lavoro sotto la soglia di povertà e retribuzioni che, insieme alla precarietà diffusa, demotivano i ragazzi e le ragazze e non consentono alcun progetto di vita o investimenti a medio-lungo termine. È qui la causa dei tassi di denatalità del nostro Paese. Una mortificazione dei giovani che si traduce anche nel disallineamento tra percorso di studi e competenze richieste che troppe volte spinge i ragazzi a formarsi privatamente e li costringe a fare una scelta obbligata di fronte alla prima, o peggio unica, offerta utile. È l’ennesima testimonianza dell’urgenza di mettere all’agenda del Paese azioni concrete per dare risposte strutturali alle generazioni che più di tutte hanno pagato a caro prezzo la pandemia e le trasformazioni in corso dei lavori e del mercato».