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Unimpresa: “Italia primeggia per tasse ma non per servizi”. E bacchetta Draghi

Giulia Guidi
18 Agosto 2022
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Secondo l’associazione di categoria, il governo uscente: “Si è trovato a distribuire appena 8 miliardi per diminuire il fisco a imprese e lavoratori e ha scontentato tutti” Dal 39% del […]

Secondo l’associazione di categoria, il governo uscente: “Si è trovato a distribuire appena 8 miliardi per diminuire il fisco a imprese e lavoratori e ha scontentato tutti”

Dal 39% del 2005 al 42,9% del 2021: in 15 anni la pressione fiscale in Italia, misurata col rapporto tra le entrate complessive nelle casse dello Stato e il Pil, ha compiuto una corsa al rialzo senza precedenti, con una crescita di quasi quattro punti in più.

E’ quanto denuncia Unimpresa secondo il cui Centro studi in Italia si pagano più tasse anche di Paesi dove i servizi pubblici e il welfare sono di alto livello come Svezia (42,6%), Austria (42,1%) e Finlandia (41,9%).

Il nostro Paese, si legge in una nota, resta in cima alla classifica per il maggior carico di tasse, ma continua a essere uno di quelli in cui le prestazioni pubbliche offerte a cittadini e imprese (in termini di welfare e di servizi) è tra i meno generosi.

Nel ranking dei Paesi più tassatori, prima dell’Italia c’è la Danimarca col 46,5%, la Francia col 45,4% e il Belgio col 43,1%, ma in quelle tre nazioni lo Stato è senza dubbio più avanzato del nostro in termini di assistenza e servizi.

«Questa è la situazione drammatica con la quale facciamo i conti mentre ci avviciniamo alle elezioni e un piano di riduzione fiscale concreto non è ancora stato presentato da alcuna forza politica o coalizione. Si fanno promesse, ma sono solo chiacchiere. Il problema è che in Italia lo Stato prende molto in termini di tasse, ma restituisce pochissimo in termini di servizi e welfare. Questo vale tanto per i lavoratori, tanto per le aziende – commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora – Rispetto a quello di cui ci sarebbe realmente bisogno, 8 miliardi complessivi, quelli offerti dal governo uscente per ridurre le tasse, sono troppo pochi. Il governo si è trovato costretto a distribuire queste risorse tra imprese, con un lieve taglio dell’Irap, e lavoratori, con un po’ meno Irpef. Il risultato, però, è che nessuno è stato soddisfatto al 100%: tutti si sono giustamente lamentati. L’esecutivo, insomma, ha scontentato tutti».

«In ogni caso, le nuove aliquote Irpef, ipotizzate nella riforma avviata dal governo, danno maggiori benefici ai redditi più alti di 35.000 euro e quindi credo che ci sia bisogno di una riflessione, per andare incontro a chi guadagna meno: insomma, vanno ridefinite le priorità e va cercata l’equità – prosegue Spadafora – In questa contrapposizione qualcuno può pensare che ci siano delle sproporzioni tra la materia del contendere e la forma di mobilitazione, ma in ogni caso il governo non deve ignorare le ragioni di sofferenza».

«L’altra grande sfida, sul fronte tasse, per la nuova legislatura, è la semplificazione. Sfido chiunque a capire come si scrive una dichiarazione dei redditi, a spiegare come si calcola l’Imu oppure come funziona esattamente la tassa sui rifiuti – aggiunge ancora – Ci sono troppe norme, troppe leggi che nel corso degli ultimi decenni si sono sovrapposte e alla fine ci troviamo con un quadro di regole incomprensibili. Questo porta a una valanga di errori. Non è un caso che alla Corte di cassazione, la maggior parte dei ricorsi siano proprio di natura fiscale. Avere meno leggi e soprattutto più chiare, dopo la riforma in discussione in Parlamento, sarebbe un grande risultato. È una delle ragioni che tiene lontano gli investimenti internazionali dal nostro Paese».

LEGGI ANCHE Unimpresa, l’inflazione sorride al fisco: 10 miliardi in più di gettito nelle casse dell’Erario

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