Dopo lo stop, sono state trovate alternative: la produzione nazionale di gas dai giacimenti del Mare del Nord è aumentata di oltre un quarto in sei mesi e sono cresciute le importazioni di petrolio da altri Paesi
Prima di lasciare all’inizio di settembre Downing Street il premier britannico Boris Johnson può dirsi soddisfatto per aver portato a termine quanto si era ripromesso almeno rispetto al taglio delle forniture energetiche dai “rubinetti” di Vladimir Putin.
Il Regno Unito, infatti, per la prima volta a giugno non ha importato carburante dalla Russia. Anche le importazioni di merci (vodka compresa) per l’effetto delle sanzioni contro l’invasione dell’Ucraina voluta dal leader del Cremlino sono crollate: del 97% a 33 milioni di sterline, il livello più basso mai registrato.
I dati sono stati pubblicati dall’Office for National Statistics (Ons) e arrivano mentre Johnson compie una visita a sorpresa a Kiev per celebrare col presidente ucraino Volodymyr Zelensky il giorno dell’indipendenza.
Quella britannica dalle importazioni russe era stata promessa dal primo ministro uscente in risposta all’attacco delle truppe di Mosca. Il 19 marzo BoJo nel suo intervento al congresso conservatore di Blackpool aveva dichiarato: «Vladimir Putin negli ultimi anni e’ stato come uno spacciatore di strada, alimentando una dipendenza nei Paesi occidentali dai suoi idrocarburi. Dobbiamo liberarci da quella dipendenza se vogliamo resistere al bullismo di Putin ed evitare di essere ricattati da lui».
Il governo conservatore si era così impegnato a eliminare gradualmente le importazioni russe di petrolio entro la fine dell’anno e quelle di gas il prima possibile. La fattibilità di questo azzeramento è evidente se si considera la ridotta dipendenza di Londra.
L’anno scorso le forniture russe costituivano il 4% del gas utilizzato nel Regno Unito, il 9% del petrolio e il 27% del carbone. Il volume annuale complessivo delle importazioni energetiche da Mosca, fino a giugno, era quantificabile in circa 4,4 miliardi di sterline.
Dopo lo stop voluto da Johnson sono state trovate alternative: la produzione nazionale di gas dai giacimenti del Mare del Nord è aumentata di oltre un quarto in sei mesi e sono cresciute le importazioni di petrolio da Arabia Saudita, Kuwait e altri Paesi.
La Gran Bretagna ha sì fatto affidamento sull’energia russa in misura molto minore rispetto ai Paesi dell’Ue ma è ancora esposta alle perturbazioni dei mercati dovute al conflitto, fattore che aggrava la crisi del caro vita in corso. E il malcontento fra i cittadini per le bollette alle stelle è cosi’ forte da indurre a forme di disobbedienza civile: oltre 110 mila persone hanno aderito a una campagna online in cui si minaccia una sorta di sciopero per non pagarle.
Si chiama “Don’t Pay Uk” e chiede al governo di intervenire entro ottobre con misure per alleviare le ricadute dei prezzi di gas ed elettricità su una popolazione molto provata per l’inflazione record. La protesta consisterebbe, a fronte di un mancato intervento dell’esecutivo, nell’eliminare l’addebito diretto delle bollette sui conti bancari, in modo da pesare sui profitti delle società energetiche.
Una risposta indiretta arriva intanto proprio da Johnson: a Kiev ha chiesto ai britannici di sopportare il caro bollette, in parte dovuto anche alla guerra, perchè gli ucraini “stanno pagando col sangue” l’invasione russa.