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I Comuni italiani tentati dal credito sociale. Idea vincente o preludio di “1984”?

Caterina Maggi
13 Ottobre 2022
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Premiare i cittadini in base ai comportamenti virtuosi, l’idea tenta le amministrazioni; ma non tiene conto delle disuguaglianze Su dati, controllo dei cittadini e diritti l’Occidente sembra predicare bene ma […]

Premiare i cittadini in base ai comportamenti virtuosi, l’idea tenta le amministrazioni; ma non tiene conto delle disuguaglianze

Su dati, controllo dei cittadini e diritti l’Occidente sembra predicare bene ma farsi tentare male. Se qualche anno fa infatti suscitò scandalo e polemiche il progetto cinese di monitorare e premiare i comportamenti virtuosi (attraverso la mappatura capillare di shopping, pagamento delle tasse, ore di volontariato, tempo trascorso su social network e videogiochi, multe, sanzioni etc) permettendo ai migliori di avere accesso agevolato a finanziamenti e concorsi pubblici, oggi sono i comuni italiani a essere tentati dall’idea di spiare i cittadini per premiare i comportamenti “virtuosi” e sanzionare i “furbetti”. 

Certo, l’Italia non è la Cina ed esistono legislazioni e regolamenti, nazionali ma anche comunitari, che tutelano la privacy e i dati degli individui, come anche scriveva un anno fa l’Economist: “Si può essere ragionevolmente certi che in Occidente ci saranno regole da rispettare, soprattutto quando sarà coinvolto lo Stato”. Il problema però è che molti progetti vanno proprio in direzione della proposta cinese, se non addirittura accarezzano l’idea di appoggiarsi a software e tecnologie di Pechino per le proprie piattaforme. Questo è quanto emerge da Privacy Network, associazione in difesa dei diritti digitali che mette in guardia dall’applicazione di questi sistemi: “A Roma è stato presentato lo Smart Citizen Wallet – si legge nella petizione lanciata su Change.org -. Un sistema incentivante che consente di premiare i comportamenti virtuosi dei city user che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di uno sviluppo sostenibile”. Una sorta di raccolta punti che si ottengono ad esempio se si compila un questionario online o si utilizza il pagamento contactless sui mezzi pubblici.

Fino a qui potrebbe sembrare una buona iniziativa senza ombre, che potrebbe allargarsi ad altri settori: dalla sana alimentazione all’uso di mezzi sostenibili, come si spinge a proporre ad esempio il progetto dei “buoni mobilità” di Bergamo; o per il corretto smaltimento dell’indifferenziata, come si propone di fare Bologna; o ancora Fidenza e Ivrea che premiano chi si comporta bene, ad esempio pagando le tasse in modo regolare (Ivrea) o addirittura assegnando un “punteggio bontà” ai destinatari di alloggi popolari (Fidenza)

Ed è qui che iniziano i problemi. Anzitutto bisognerebbe chiedersi: chi controlla chi controlla i dati? Anche una piccola città genererebbe una mole incredibile di dati, figurarsi un grande capoluogo. Esiste effettivamente la possibilità di gestire questi dati, ma soprattutto di farlo in sicurezza e garantendo l’inaccessibilità ad essi di malware e hacking, considerando anche i molteplici allarmi lanciati dagli esperti di difesa cybernetica sul sistema italiano dopo il caso Sanità Lazio? 

Non solo però logistica, i dubbi nascono anche sul fronte dell’etica. Vale a dire: chi decide che un comportamento virtuoso è tale? Prendiamo ad esempio spostarsi in bicicletta: sicuramente applicabile per chi vive in una città pianeggiante, in un quartiere centrale e con la possibilità di utilizzare piste ciclabili e parcheggi bicicletta; ma chi vive in periferia dove questi servizi non sono garantiti? O ancora, ma riguardo agli autobus: sicuramente chi vive in centro non ha problemi a spostarsi coi mezzi pubblici, che spesso arrivano con frequenza rapida; ma chi invece abita in quartieri isolati, o si reca al lavoro nelle zone industriali che rimangono nella cintura periferica dei conglomerati urbani? Facendo una rapida cernita, è più semplice rimanere nella lista dei “buoni” di Babbo Natale che in quella del municipio. L’atteggiamento paternalista che nasce da questo tipo di controllo non sembra tenere conto delle molteplici realtà, spesso non tracciabili né valutabili sulla semplice base matematica di un algoritmo. Aggiungiamoci poi le differenze di reddito, che sono tutt’altro che ininfluenti: è chiaro che un Ceo ha molto più potere d’acquisto che un disoccupato, pertanto è più propenso a poter acquistare alimenti più sani. 

 C’è però almeno un dato rassicurante, almeno per chi non accoglie con entusiasmo l’idea di un Grande Fratello pronto a osservare e punire: che non funziona. Almeno in Cina, dove il progetto era stato inizialmente lanciato, le app per il monitoraggio procedono a rilento, così come la raccolta dei dati. Forse l’epoca della “lista dei buoni” nei comuni è ancora lontana.

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