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Economia

Hacking e privacy, i due incubi dei dpo italiani

Caterina Maggi
16 Ottobre 2022
Hacking e privacy, i due incubi dei dpo italiani
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Nuovo report Federprivacy, il 53% teme un’ispezione del garante L’incubo di chi custodisce i dati delle aziende? Si chiama ransomware: un programma ‘pirata’ che prende in ostaggio i dati e […]

Nuovo report Federprivacy, il 53% teme un’ispezione del garante

L’incubo di chi custodisce i dati delle aziende? Si chiama ransomware: un programma ‘pirata’ che prende in ostaggio i dati e i file degli utenti chiedendo poi un riscatto per ‘liberarli’. Mentre il 57% degli intervistati sono più preoccupati da una possibile ispezione del Garante della Privacy (53%) che da un’eventuale nuova pandemia (17,2%).

Questi alcuni dei dati pubblicati nel rapporto di Federprivacy da un sondaggio condotto su 1.123 professionisti italiani che si occupano di gestire e proteggere i dati nelle aziende pubbliche o private. In un certo senso abbondano i fatalisti: secondo infatti il 76,6% degli intervistati un caso critico o un’emergenza prima o poi arriverà, anche se solo uno su cinque (il 19%) deve affrontare situazioni del genere già nel presente. Nel 70,8% dei casi preoccupano la sottovalutazione dei rischi sui dati, seguono poi la mancanza di competenze degli addetti (64%), mentre il 58% degli intervistati ritiene che il problema potrebbe arrivare proprio da un proprio errore. Nel 77% dei casi il responsabile dei dati teme di dover comparire in tribunale per una criticità gestita male.

Alla base delle ansie anche la cattiva organizzazione: il 54,3% dei Data Protection Officer (dpo) ritiene che a causare l’emergenza potrebbe essere il suo mancato coinvolgimento quando si presenta la crisi; che secondo il 70% degli intervistati scatta a causa della sottovalutazione dei rischi. Anche se non manca una buona percentuale di ‘mea culpa’: il 58,2% ammette che le sanzioni potrebbero arrivare a causa del proprio insufficiente di preparazione o dalla mancanza di conoscenza specialistica. Da qui la necessità avvertita di ‘rimanere sul pezzo’: il 67,9% dei professionisti intervistati pensa che sia necessario curare la propria formazione, e più della metà (55,3%) sente di acquisire specifiche conoscenze nel campo della cybersecurity. Anche perché altre due ragioni di crisi improvvise, secondo i dpo, sono proprio impreparazione (64%) e errore umano (56,5%)

Fanno molto meno paura invece disastri ambientali, pandemie e black out. Una nuova emergenza sanitaria fa perdere il sonno solo al 17,2%, mentre allagamenti e incendi dei server mettono ansia solo al 15,4%. Un rischio black out impensierisce solo il 6,7% dei dpo citati. Sicuramente a spaventare di più i professionisti sono hacker e altri pirati della rete: il 79,3% dei Data Protection Officer è preoccupato per la possibile diffusione di informazioni sensibili.

Ma sopra ogni cosa i dpo italiani sembrano essere terrorizzati da manette e tribunali: il 53,2% si preoccupa al pensiero che il Garante o il Nucleo Privacy della Guardia di Finanza possa ispezionarli e trovare delle pecche. Questo anche in una scarsa fiducia (o comunicazione) nei confronti di chi li ha assunti: il 69,6% dei professionisti pensa che le penalizzazioni potrebbero verificarsi con la mancanza di sostegno da parte dei vertici aziendali, e il 44,4% ritiene che il dpo possa essere addirittura messo in difficoltà perché non riesce a dialogare direttamente con i vertici, o ad operare in modo realmente indipendente come richiede il GDPR (34,6%).

  • privacy
  • cybersecurity
  • garante

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