Crisi energetica e temperature in rialzo, il Pinot si sposta a nord
Tra crisi climatica e quella delle bollette, sono tempi duri per il vino. Questa la sintesi nell’allarme lanciato dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly. L’analisi dell’istituto, che preso in esame un panel in rappresentanza del 30% del mercato nostrano, “ha evidenziato – si legge – che solo per i costi dell’energia e dei cosiddetti dry-good (tappi, capsule, carta, cartoni e vetro) il prezzo da pagare è di 3,18 miliardi di euro, con un surplus di 1,5 miliardi di euro in più che deriva da +425 milioni di euro (+120%) di caro-energia e da oltre un miliardo in più (+74%) di materie secche, già da mesi sottoposte a pressioni, non solo di tipo inflattivo, ma anche distributivo”.
Se poi si fanno i conti anche con gli altri costi (materia prima, commerciali e fiere) il conto diventa salatissimo. Se la prima voce, uve e sfusi, ha visto un aumento tutto sommato contenuto in 6,6 miliardi di euro (+14%) le spese commerciali volano a circa 2,4 miliardi (+25%). Anche perché con la ripresa delle fiere, sospese durante la pandemia, il bisogno di farsi pubblicità è notevolmente aumentato. Anche il personale incide sui conti, a 650 milioni di euro (+7%). In totale il rincaro è di oltre 12,9 miliardi di euro, con un aumento dei costi totali di quest’anno del 28%: una stangata cioè da 2,8 miliardi di euro. A ben poco servono gli aumenti dei prezzi di listini stimati dall’Osservatorio nei primi 9 mesi di quest’anno al 6,6%, insufficiente per coprire una variazione al rialzo dei prezzi.
A sentire gli effetti peggiori sono i piccoli: le piccole e medie imprese che producono, vinificano e imbottigliano tutto, o quasi, in casa propria. Per loro, infatti, il surplus dei costi supera la media, con il 28,8%, mentre l’aumento di fatturato resta sotto la media, al 4,1%. Questo vuol dire che il gap tra costi e fatturato si allarga ancora di più.
Se da noi i piccoli produttori rischiano grosso, non va meglio dai cugini d’Oltralpe alle prese con i cambiamenti climatici. A causa delle temperature record il Regno Unito potrebbe diventare, secondo un’inchiesta dell’Indipendent, il produttore ideale di vino rosso. Scalzando però così i tradizionali produttori, vale a dire i francesi, addirittura in viticulture pregiate e autoctone come il Pinot nero. “Le temperature nelle regioni vinicole del Regno Unito potrebbero aumentare di 1,4 gradi entro il 2040, oltre a un aumento di un grado dagli anni ’80, secondo le stime climatiche”, si legge sul quotidiano, mentre gli esperti rilevano come il cambio di clima stia rendendo l’Inghilterra sempre più un terreno favorevole alla produzione di viti anche da bollicine.
Stando così le cose, è possibile che le regioni migliori per coltivare il Pinot Nero si sposteranno verso nord, lontano dalla Francia, a causa dei cambiamenti di temperatura. Nel 2018, la Gran Bretagna ha prodotto per la prima volta oltre 15,6 milioni di bottiglie di vino rosso a causa dell’estate particolarmente lunga. Se gli inglesi vogliono scalzare i francesi dal podio dei vini però, devono agire ora: una vite impiega tra i 20 ai 30 anni per entrare a pieno regime di produzione. E visti i continui aumenti delle temperature, chissà che non si arrivi al punto che anche la Britannia diverrà troppo calda per le vendemmie.