
Sembra più appetibile per costi e ambiente, ma non mancano le critiche
Dal sapore molto simile al prodotto originale, può essere prodotta con ingredienti vegetali o essere coltivata in provetta. La carne ‘fake’, o surrogata, sta diventando molto popolare sul mercato secondo il Washington Post, che in un’intervista ai consulenti di Fortune Business Insight rivela che “le entrate di mercato dovrebbero all’incirca raddoppiare, raggiungendo i 12,3 miliardi di dollari entro il 2029”. I vantaggi sono molteplici. Anzitutto poter coltivare in vetrino, o produrre da alternativa vegetale la carne sembra essere un ottimo scudo per quanto riguarda le interruzioni improvvise della filiera, un evento che ad esempio si è verificato sempre più spesso tra guerre e pandemie.
“L’industria delle alternative alla carne sta diventando particolarmente appetibile per gli esperti di sicurezza alimentare – sottolinea il quotidiano statunitense – i venture capitalist e le aziende che cercano di proteggersi dalle crisi della catena di approvvigionamento”. I costi della produzione insomma sarebbero controbilanciati dalla rassicurazione di poter sempre avere a disposizione il prodotto, evitando fluttuazioni. Oltre al rischio di non poter spostare i capi infatti anche i blocchi alla movimentazione del grano colpiscono l’industria della carne, essendo i cereali alla base delle formule di molti mangimi. In Asia, ad esempio, la Malesia ha annunciato un divieto – poi allentato – sulle esportazioni di pollo e l’India ha posto limiti alle esportazioni di grano. Così i prezzi globali della carne hanno raggiunto il loro massimo storico a giugno, stando ai dati dell’Onu.
C’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione: la carne artificiale richiede meno spazio, meno risorse e, dal momento che non ha bisogno di tenere grandi quantità di bovini che sono tra i maggiori responsabili dell’inquinamento atmosferico, è meno inquinante. Sarebbe proprio il metano prodotto dagli allevamenti infatti a peggiore la situazione del cosiddetto “effetto serra”; la carne in vetrino, al contrario, non ha questo difetto. Si tratta quindi di alternative che Molto spesso, peraltro, si tratta di alternative che “richiedono meno spazio, acqua, tempo e materiali per essere realizzate, rendendole più resistenti agli shock della catena di approvvigionamento che hanno recentemente afflitto l’industria della carne animale”– spiegano i consulenti di Fortune Business Insight – in alcune parti del mondo, come il Nord Europa, alcune di queste stesse alternative stanno diventando economiche quanto la carne tradizionale”. Non proprio un cambiamento disinteressa: meno spazio di produzione richiesto significa possibilità di produrre in luoghi che fino ad ora, per mere ragioni geografiche e logistiche, non potevano contare sugli allevamenti e dovevano affidarsi all’importazione. Non solo loro: anche l’Asia, con la sua popolazione in aumento, ha sempre più fame di carne e sempre meno spazio per produrla. In regioni come il sud-est asiatico che hanno popolazioni in rapida crescita e sono alle prese con le restrizioni all’esportazione di cibo, “i sostituti della carne tradizionale stanno diventando un’alternativa proteica affidabile”. L’industria delle alternative alla carne sta diventando particolarmente appetibile per gli esperti di sicurezza alimentare.
Qui però un primo nodo: almeno ad oggi, la carne in vetrino è tutt’altro che popolare nel prezzo. Quindi più probabilmente sarà fruita da un piccolo gruppo di consumatori, contraddicendo uno dei motivi della sua creazione – rendere più accessibile la carne a tutti. Inoltre alcuni produttori di carne tradizionale sono scettici sul fatto che i sostituti potranno continuare ad avere una rapida crescita dopo l’iniziale esplosione del trend. Dicono infatti che le alternative “non riescono a replicare il gusto della carne animale” . Se il successo della carne surrogata sarà una cometa destinata a tramontare in fretta, lo diranno i mercati e le condizioni del pianeta.