
Il dubbio amletico dell’età contemporanea: si può innovare senza inquinare?
Un like inquina? Purtroppo, sì. La transizione digitale e tecnologica ha sicuramente molti vantaggi; ma per produrla e tenerla in funzione si consumano inevitabilmente risorse, e il guaio non è quante, ma di che tipo. Questioni su cui spesso la voce in capitolo dei consumatori è poco incisiva e spesso la percezione dell’impatto sull’ambiente è attenuata: guardando un pc al lavoro, o “scrollando” le news su uno smartphone (quindi anche in questo momento) è difficile rendersi conto che si sta emettendo CO2.
E invece, sì. Dietro un device ci sono i terminali e le risorse non rinnovabili, i metalli rari, i prodotti chimici che servono per fabbricarli. Ma anche i data center, i cavi e le centraline. I cavi in particolare sono un esercito inquinante: ci sono 34 miliardi di apparecchi elettronici sulla Terra, secondo GreenIT, che consumano il 10% dell’energia elettrica mondiale. E il 35% di questa energia viene dal carbone, rendendo così il digitale responsabile del 4% delle emissioni globali di CO2:il doppio dell’aviazione.
La soluzione è tornare a carta, penna e lumi di candela? Ovviamente, no. Ma si può cercare di coniugare meglio transizione digitare e transizione ecologica. Un processo virtuoso in cui la prima non opera in competizione, ma in armonia con la seconda. Per esempio per riorganizzare le reti elettriche e consentire il contributo di piccoli produttori di energia pulita, o implementando l’agricoltura di precisione che riduce lo spreco idrico e l’inquinamento delle falde da fertilizzanti e antiparassitari chimici. O ancora, la tecnologia potrebbe le città in sistemi efficienti e sostenibili, monitorando ad esempio gli sprechi energetici e suggerendo nuove strategie di risparmio (ecologico sì, ma anche per il portafoglio è una buona notizia). Nel 2015 l’Unesco ha stimato che si può ridurre l’impronta carbonica dei sistemi economici in quantità sette volte superiore alle emissioni dovute al digitale. Cioè, se ben utilizzata, la tecnologia può aiutare ad abbattere l’impronta ecologica di tutti i settori fino al 15%. Tutto risolto? Ancora, no.
Se è facile stimare quanto ci aiuta la tecnologia nella lotta all’inquinamento, resta molto difficile trovare date certi e non sottostimati di quanto inquini. E non è solo questione di statistica. A mancare in modo drammatico è la trasparenza, mentre i giornalisti ambientali e le organizzazioni non governative per la salvaguardia del pianeta subiscono minacce e intimidazioni: è difficile vedere di persona i luoghi nei quali si producono i metalli rari che servono all’elettronica, perché spesso si trovano in Stati non democratici o dilaniati da conflitti tribali, terrorismo e guerre (un esempio tra tutti i paesi estrattori di metalli dell’Africa); è difficile superare la segretezza delle attività dei gestori dei cavi sottomarini e di molti datacenter; chi ha i dati non li mette a disposizione, volutamente o perché non esistono accordi o concordati internazionali per rendere queste risorse open sourch.
Il dilemma resta? La chiave del quesito potrebbero essere le rinnovabili: in grado di fornire energia, ma di farlo senza scomodare risorse impattanti, sopratutto nei processi di estrazione, come il carbone. E implementando non solo le tecnologie di produzione, ma anche e soprattutto di rigenerazione (cioè applicando lo sviluppo non solo a produrre ma anche per una migliore manutenzione e rigenerazione dei prodotti), l’impatto di un like potrebbe essere decisamente ridotto.