L’accordo c’è, ma l’Unione Europea è insoddisfatta: “mancanza di ambizione”
Alla fine l’accordo c’è, anche se non soddisfa tutti. L’assemblea plenaria della Cop27 di Sharm el-Sheikh ha approvato il documento finale della conferenza, che sancisce l’istituzione del fondo “loss and damage”, “perdite e danni” che spesso funestano le economie più precarie del pianeta (proprio perché si trovano in territori a rischio climatico) e a cui farà fronte appunto l nuovo fondo risorse. È il risultato di mesi (se non anni) di braccio di ferro tra le economie emergenti e a rischio critico che rivendicavano il loro ruolo in trincea contro il cambiamento climatico, e i paesi occidentali che storcevano il naso all’idea di mettere mano al portafoglio. Un Comitato transitorio dovrà preparare un progetto da presentare alla prossima Cop28 nel 2023 per l’avvio operativo del fondo.
Il documento finale salva inoltre l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi dai livelli pre-industriali. Ma non tutti sono contenti del risultato, anche perché pur essendo il frutto di difficili trattative è anche assolutamente insufficiente rispetto alla portata dell’emergenza in corso. Dura la presa di posizione dell’Ue che ha espresso “delusione per la mancanza di ambizione” nella tabella di marcia per ridurre le emissioni di CO2. Il testo infatti non fa cenno di riduzione o abbandono dell’uso degli idrocarburi e delle altre sostanze inquinanti, ma parla solo di riduzione della produzione elettrica dell’uso di tali risorse se non soggetta a misure di abbattimento delle emissioni. In sintesi: non c’è nessun blocco a petrolio, carbone e gas, ma solo una riduzione all’utilizzo di energia elettrica prodotta con questi elementi, e che non preveda formule di contenimento delle emissioni (ad esempio piantumazione di alberi). Non proprio un grande risultato, sicuramente una soluzione che non mette eccessivamente in allarme le compagnie petrolifere, i rami di industria refrattari alla riconversione ecologica e le economie emergenti che spesso fondano ancora su carbone e petrolio i propri approvvigionamenti.
Anche il fondo “loss and damage” è una delusione per certi aspetti. Il documento di oggi infatti nota “con seria preoccupazione” che non è stato ancora istituito il fondo da 100 miliardi all’anno dal 2020 previsto dall’Accordo di Parigi per aiutare i Paesi meno sviluppati nelle politiche climatiche. E non se ne parlerà fino al 2023. Il flusso di finanza climatica ai Paesi in via di sviluppo nel biennio 2019-2020 è stato di 803 miliardi, il 31-32% di quanto necessario a mantenere gli obiettivi di 1,5 o 2 gradi. Non avere un fondo che rimargini le perdite significa lasciare i paesi più esposti al cambiamento climatico senza una “rete di protezione”, mentre l’ultima chiamata per il pianeta (il 2030) quando cioè il cambiamento sarà irreversibile è a meno di 10 anni di distanza.
Oltre all’Unione Europea si è dichiarato deluso anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres che, in un messaggio per la chiusura della Cop 27, ha detto: «Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Un fondo per i loss and damage è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura».