L’istituto parigino raccomanda all’Italia la puntualità nel seguire gli obiettivi del Pnrr per sostenere la crescita
«L’economia globale si sta riprendendo dalla più grande crisi energetica dagli anni ’70. Lo shock energetico ha spinto l’inflazione su livelli che non si vedevano da molti decenni e sta abbassando la crescita economica in tutto il mondo. Prevediamo ora che la crescita mondiale scenderà al 2,2% nel 2023 per poi rimbalzare a un relativamente modesto 2,7% nel 2024. L’Asia sarà il principale motore della crescita nel 2023 e 2024, mentre Europa, Nord America e Sud America vedranno una crescita molto bassa».
Si legge nell’outlook economico pubblicato oggi dall’Ocse che se per gli Usa vede un +1,8% nel 2022 seguito da un +0,5% nel 2023 e un +1% nel 2024, per l’Eurozona si attende una solida performance al ritmo del 3,3% quest’anno con una frenata allo 0,5% l’anno prossimo (medesimo tasso di crescita degli Usa) e un’accelerazione all’1,4% nel 2024.
Per l’altra grande economia del mondo, la Cina, l’Ocse prevede per il triennio 2022-24 rispettivamente un +3,3%, +4,6% e 4,1%.
Per quanto riguarda l’inflazione, l’Ocse la vede all’8,1% per i paesi del G20 nel 2022 per poi decrescere lentamente al 6% nel 2023 e al 5,4% nel 2024. Per l’eurozona invece le previsioni sono per un incremento dell’8,3% quest’anno a cui dovrebbe seguire un lieve ridimensionamento al 6,8% nel 2023 e una discesa al 3,4% nel 2024.
«Attualmente ci troviamo di fronte a una prospettiva economica molto difficile – spiega il capo-economista Alvaro Santos Pereira -. Il nostro scenario centrale non è una recessione globale, ma un significativo rallentamento della crescita per l’economia mondiale nel 2023, nonché un’inflazione ancora elevata, seppur in calo, in molti Paesi».
Il pil dell’Italia è atteso a una contrazione a fine 2022 per poi mettere a segno una crescita modesta dello 0,2% nel 2023 e dell’1% nel 2024 dopo il +3,7% previsto come cifra finale per il 2022. Per quanto riguarda l’inflazione vede un 8,1% quest’anno, un più 6,5% il prossimo per poi scendere al 3% nel 2024.
Secondo gli esperti dell’istituzione di Parigi, gli alti prezzi dell’energia agiranno da freno alla produzione nelle industrie ad alta intensità energetica, mentre il calo dei redditi reali a causa dell’alta inflazione, l’aumento dei tassi di interesse e la modesta crescita del mercato delle esportazioni modereranno la crescita della domanda.
La disoccupazione aumenterà mentre calerà la partecipazione al mercato del lavoro con una contrazione dell’occupazione nel 2023. L’inflazione dei prezzi al consumo dovrebbe scendere solo gradualmente dal 10% circa alla fine del 2022 con la graduale eliminazione dei massimali sui prezzi dell’energia mentre i recenti aumenti dei prezzi di energia e alimentari innescheranno più ampie pressioni sui prezzi.
Secondo l’Ocse, inoltre, l’inasprimento della politica monetaria sarà in parte compensato da maggiori investimenti pubblici legati al Pnrr. Per quanto riguarda i rischi per l’economia, questi “sono maggiori del solito e sono orientati verso il basso”.
Mentre è improbabile il ricorso al razionamento energetico anche in caso di completa interruzione delle forniture di gas russo, eventuali ritardi nell’attuazione del Pnrr potrebbero pesare sugli investimenti pubblici e un inasprimento più significativo del previsto della politica monetaria nell’area dell’euro potrebbe spingere ulteriormente verso l’alto il premio di rischio sui titoli di Stato a lungo termine.
«Ciò non porterebbe solo a un ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie nel privato settore, ma farebbe anche aumentare i costi di servizio del debito pubblico – scrivono gli analisti -. Sebbene le dinamiche del debito pubblico a breve termine siano state favorevoli nell’ultimo anno, riflettendo in gran parte una crescita del Pil nominale superiore al previsto, e la scadenza media del debito pubblico sia lunga, ciò potrebbe determinare un deterioramento della dinamica del debito nel lungo termine. Sul fronte opposto l’effettiva attuazione delle riforme strutturali collegate al Pnrr potrebbe avere un effetto positivo sulla produttività più grande del previsto a breve termine».
Eventuali insufficienze nelle forniture che facessero salire i prezzi di gas, fertilizzanti e petrolio e costringessero a periodi di riduzione forzata dell’utilizzo di gas da parte delle imprese potrebbero ridurre la crescita delle economie europee di 1,5 punti percentuali di pil rispetto allo scenario base (+0,5%) e spingere molti paesi europei in piena recessione nel 2023.
In questo scenario l’inflazione salirebbe di un ulteriore 1,25% rispetto allo scenario base (+6,8%). La crescita verrebbe inoltre indebolita nel 2024 di circa tre quarti di punto e l’inflazione salirebbe di 0,9 punti percentuali. Prezzi più alti e la riduzione dell’orario di lavoro colpirebbero i redditi reali, con una riduzione della spesa delle famiglie di circa il 2%.
All’interno dell’Unione Europea, i paesi dell’area centrale e dell’Europa orientale sarebbero collettivamente colpiti più duramente rispetto agli altri con una riduzione della produzione di circa l’1,6% nel 2023 contro il taglio dell’1,3% per il resto dell’Unione.
“Nella lotta contro l’aumento dei prezzi, è essenziale che la politica fiscale lavori di pari passo con la politica monetaria, dicono gli analisti parigini. Ciò significa che dovrebbero esserci misure fiscali di sostegno mirate e temporanee per proteggere le famiglie e le imprese dallo shock energetico, aiutando le famiglie e le imprese vulnerabili senza aumentare le pressioni inflazionistiche e i crescenti oneri del debito pubblico.
I governi – rileva il rapporto – hanno già fatto molto per attenuare l’impatto degli alti prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari, attraverso i massimali sui prezzi, le integrazioni al reddito e la riduzione delle tasse. Tuttavia, poiché è probabile che i prezzi dell’energia rimangano alti e volatili per qualche tempo, misure non mirate per mantenere bassi i prezzi diventeranno sempre più insostenibili e potrebbero scoraggiare il necessario risparmio energetico.
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