
L’ecosistema protetto dell’isola indonesiana è messo in ginocchio dalla pesante estrazione di materie prime per la produzione di batterie al litio
È ancora braccio di ferro fra ambientalisti e industria, impegnata nella corsa dell’industria all’approvvigionamento di materie prime per la realizzazione di batterie al litio. Un tema sul quale di recente anche la presidente della Commissione Ue Von der Leyen ha sollevato preoccupazioni.
La produzione di batterie richiede infatti, oltre a materiali comuni come la grafite, anche minerali come litio, nichel, cobalto e manganese, che devono essere puri al 99%. Una domanda che ha fatto schizzare il prezzo di queste materie prime, con il prezzo del nichel raddoppiato solo nell’ultimo anno e passato da 19mila a 31mila dollari alla tonnellata (nelle oscillazioni degli ultimi 12 mesi si sono raggiunte punte di 50mila dollari alla tonnellata).
Anche per questo fioccano le inchieste di denuncia che accusano i grandi gruppi industriali di aver messo in atto uno sfruttamento selvaggio. Fra i reportage anche un recente studio della no profit statunitense Rest of the World che denuncia la depredazione in atto nell’isola indonesiana di Sulawesi, in particolare nel villaggio di Kusisa che ospita uno dei maggiori giacimenti di nichel al mondo.
L’estrazione mineraria è gestita da indonesiana ma fa capo per la maggior parte alla IMIP, proprietà cinese che impiega oltre 66mila operai e che in soli 7 anni ha devastato una preziosa riserva di biodiversità. Gli scarichi della centrale termica a carbone stanno infatti contribuendo ulteriormente all’innalzamento della temperatura del mare, con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino in cui si trova una preziosissima barriera corallina.
L’inchiesta porta alla luce anche un recente accordo siglato da Tesla, il maggior produttore al mondo di auto elettriche, con due colossi cinesi per l’acquisto nei prossimi cinque anni di materie prime estratte proprio da Sulawesi.