
Lo scoppio della guerra in Ucraina, la conseguente crisi del gas e le difficoltà per un accordo, e infine la “mazzata” finale del Qatargate
Il 2022 sarà ricordato negli annali dell’Ue come annus horribilis. Iniziato con l’irruzione del conflitto ucraino e concluso con lo shock dello scandalo Qatargate al Parlamento europeo. Ne fa una sintesi LaPresse.
Se il primo ha messo l’Unione a dura prova nella capacità di risposta alla minaccia russa – che tutto sommato ha superato dimostrando una certa unità -, il secondo ha aperto un vaso di pandora che rischia di danneggiare la reputazione delle istituzioni comunitarie.
Partito da un’indagine dei servizi segreti belgi la scorsa estate, lo scandalo è scoppiato il 9 dicembre quando, a seguito di una serie di perquisizioni che hanno portato alla scoperta di oltre 1,5 milioni di euro in contanti, sono stati arrestati l’eurodeputata di S&D Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, l’ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri, passato dal Pd ad Articolo Uno, il compagno di Kaili ed ex assistente di Panzeri, Francesco Giorgi, e Niccolò Figà Talamanca, segretario della Ong “No Peace Without Justice”.
Sono accusati di corruzione per aver ricevuto somme di denaro e benefici dal Qatar per influenzare le decisioni e il dibattito in seno all’Europarlamento, con lo scopo di ripulire l’immagine del Paese del Golfo che ha ospitato i Mondiali di calcio.
Secondo gli inquirenti, un ruolo centrale nell’affaire l’ha avuto la Ong fondata da Panzeri, Fight Impunity, ma le indagini si sono ampliate anche alle influenze dal Marocco e sono emersi i nomi anche di altre personalità del Parlamento europeo e non solo, facendo tremare i palazzi della politica di Bruxelles.L’anno per l’Ue era iniziato celebrando i 20 anni dell’euro econ l’elezione della maltese del Ppe Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo.
La mattina del 24 febbraio l’Europa si è svegliata con la più grande aggressione dai tempi della Seconda guerra mondiale nel suo continente. L’invasione russa a uno dei suoi paesi del partenariato orientale ha segnato uno spartiacque nella storia europea e aperto una nuova inedita crisi nel Vecchio continente, proprio mentre provava a risollevarsi dalla pandemia.
Nello stesso giorno viene convocato d’urgenza un Consiglio europeo straordinario in cui i leader Ue condannano l’aggressione russa e concordano un nuovo pacchetto di sanzioni, il secondo dopo quello approvato il giorno prima, quando già l’esercito di Mosca stava ammassando le sue truppe ai confini ucraini.
Ne seguiranno altri sette, tutti approvati all’unanimità, come da Trattati, non senza lunghe trattative e molte eccezioni per portare a bordo i paesi più riluttanti ed esposti alla dipendenza energetica, russa come l’Ungheria. Innumerevoli i Consigli straordinari convocati dalle presidenze francesi e ceca per rispondere all’emergenza.
La guerra ha messo subito l’Europa di fronte alla più grande sfida: come colpire Mosca senza rischiare di perdere il flusso di gas e petrolio russo vitale per l’intero continente. Sebbene il gas sia sempre stato escluso dai pacchetti di sanzioni, si è cercato di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi, passando dal 40 a meno del 9%.
A maggio la Commissione europea ha lanciato il suo piano per aumentare l’autonomia dell’Europa dal punto di vista energetico, il RePowerEu, con la possibilità di aggiungere capitoli ai piani di ripresa e resilienza nazionali per gli investimenti nel settore, un’accelerazione al passaggio alle rinnovabili, con una strategia per il solare, e un ampliamento degli obiettivi di efficienza energetica e risparmio previsti dal Green deal. Ma anche una riduzione obbligatoria del consumo di elettricità del 5% nelle ore di punta e del 15% di gas in caso di carenza di forniture e l’obbligo di riempimento degli stoccaggi al 90%.
Nel frattempo, Bruxelles ha stretto nuovi accordi con gli Usa, la Norvegia, l’Egitto, Israele e l’Azerbaigian per aumentare le forniture di gas naturale liquefatto. Alla fine dell’anno, tra le misure per fronteggiare il caro-energia, sono anche stati approvati acquisti congiunti di gas, meccanismi di solidarietà tra paesi europei, la creazione di un indice complementare al mercato di Amsterdam e il price cap, caldeggiato dall’Italia, a 180 euro al megawattora.
Per aiutare Kiev l’Ue ha stanziato 6 miliardi di prestiti agevolati garantiti dagli Stati membri per il 2022 e altri 18 per il 2023. Per la prima volta nella storia dell’Unione è stata usata anche la dotazione dello Strumento europeo per la pace, di solito destinato alle missioni Ue nel mondo, per rimborsare agli Stati l’invio di armi all’Ucraina: più di 3 miliardi, su 5,7 del fondo, sono stati impiegati a questo scopo. Sempre sul fronte militare, l’Ue ha inaugurato una missione di addestramento per 15mila soldati ucraini.
A fronte dell’arrivo massiccio di ucraini in fuga dalle bombe, è stata applicata per la prima volta la direttiva sulla protezione temporanea del 2001, per garantire l’accoglienza a un flusso che ha toccato nei mesi di picco i 7 milioni di persone, di cui oltre 2 in Polonia.La crisi ucraina ha rivitalizzato e accelerato anche il processo di allargamento nei Balcani, su cui l’Europa sta puntando per evitare che la regione finisca nella rete delle sirene russe.
A giugno il vertice Ue ha accolto la proposta della Commissione di concedere lo status di paese candidato all’Ucraina e alla Moldova, mentre per la Georgia servirà ancora un po’ di tempo. A luglio è stata risolta la disputa con la Bulgaria, che ha sbloccato i negoziati di adesione della Macedonia del Nord e dell’Albania. A dicembre è stata la volta della Bosnia Erzegovina, che ha mosso il primo passo ottenendo lo status di candidato, portando a otto il numero dei paesi candidati Ue, e il Kosovo ha avanzato la sua richiesta, anche se in questo caso la strada è ancora lunga.
La guerra ha avuto ripercussioni anche sul fronte economico portando alla proroga della sospensione del Patto di stabilità per il rientro del debito per un altro anno, allo stesso tempo avviando il dibattito sulla proposta della Commissione europea di riformare in senso più flessibile le regole della governance economica, in vista del ritorno alla normalità nel 2024. Nonostante il conflitto, l’annosa questione dello stato di diritto ha segnato due punti con altrettante decisioni non facili da parte della Commissione europea.
L’Esecutivo Ue ha dato il via libera agli ultimi due piani di ripresa e resilienza, quello polacco e quello ungherese, vincolando però l’erogazione dei soldi alla realizzazione delle riforme a garanzia dello stato di diritto, in particolare nell’indipendenza della giustizia e nel controllo dei fondi pubblici. Se con Varsavia i toni si sono abbassati, anche per il contributo sostanzioso della Polonia alla crisi ucraina, con il governo Orban lo scontro è rimasto aperto.
L’Ungheria ha usato più volte il suo potere di veto per bloccare dossier importanti, alla fine ha dato il via libera alla tassazione minima alle multinazionali, decisa in sede Ocse/G20, ottenendo l’ok al suo Pnrr, ma vedendosi confermato il blocco del 55% di alcuni programmi del fondo di coesione, pari a 6,3 miliardi. È il cosiddetto meccanismo delle condizionalità dello stato di diritto applicato per la prima volta nell’Unione.
Nell’ultimo scorcio del 2022 si è aperto il dibattito sulla necessità di istituire un altro strumento di debito comune come il Recovery – da cui l’Italia ha ricevuto già 67 miliardi – o il Fondo Sure e di allentare le regole sugli aiuti di Stato, anche per far fronte al piano di investimenti Usa, l’Inflation Reduction Act, un potenziale pericolo per la concorrenza europea.
A fine anno, proprio mentre a Bruxelles si approvavano le ultime misure, il Parlamento europeo è stato travolto dallo scandalo del Qatargate. Per evitare una crisi di credibilità l’Europarlamento e la Commissione europea si sono subito mossi per introdurre riforme sulla trasparenza e le attività di lobbying.