
La Lega sta vagliando un’offerta da 140 milioni per rinnovare il contratto in scadenza per ulteriori sei anni, con una Supercoppa in versione Final Four
Tutto è iniziato con l’impresa dell’Arabia Saudita che, appena qualche settimana fa, ha battuto l’Argentina poi campione del mondo nella partita d’esordio del mondiale in Qatar; a inizio anno la firma di Cristiano Ronaldo per l’Al-Nassr; l’altro giorno la Supercoppa spagnola, culminata nella vittoria del Barcellona sul Real Madrid per 3-1, e quella italiana di domani, mercoledì con il derby Milan-Inter.
Il calcio saudita e i petroldollari del fondo sovrano Pif che lo finanziano hanno messo Riad sulla mappa globale del pallone e il suo King Fahd International Stadium sta diventando un palcoscenico di primo piano per lo sport più universale della Terra.
La stracittadina di Milano si era già disputata all’estero nel 2011, a Pechino, quando i rossoneri di Massimiliano Allegri si imposero per 2-1 sulla squadra di Gasperini.
Era l’epoca in cui la Cina ambiva a diventare una potenza calcistica a suon di investimenti, ora l’austerity sotto la Grande muraglia ha favorito l’ascesa calcistica della ricca area del Golfo, da Dubai al Qatar, con la capitale saudita che si candida a nuova mecca del calcio.
Lo dimostra anche l’amichevole di giovedì tra Psg e una selezione All Star della Saudi league in cui Lionel Messi e CR7 torneranno a incrociarsi proprio a Riad.
Le polemiche sui diritti umani ormai si sono affievolite rispetto al 2019, quando fu annunciata la prima intesa tra Riad e la Lega di Serie A, forse anche per lo “sdoganamento” ottenuto con i mondiali a Doha. Così la Lega sta vagliando un’offerta saudita da 140 milioni per rinnovare il contratto in scadenza per ulteriori sei anni, con una Supercoppa in versione Final Four come già avviene con le squadre spagnole.
Lo “Sportwashing” per ripulirsi l’immagine; la promozione del “nuovo petrolio”, il turismo, nell’ambito della Vision 2030 che dovrebbe aprire il regno wahabita alla globalizzazione; la rivalità con le altre potenze emergenti della regione, dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar: tutto si combina nella volontà del principe ereditario Mohammed bin Salman (nella foto) di trasformare il vessillo verde saudita in un “brand” calcistico mondiale.
Del resto è l’intero mondo arabo a cercare un ruolo da protagonista nel pallone: lo testimoniano anche le imprese al mondiale in Qatar degli stessi “falchi verdi” e del Marocco che dall’1 all’11 febbraio ospiterà il Mondiale per Club con il Real Madrid di Carlo Ancelotti.
Dopo CR7, si parla anche del possibile arrivo a Riad di Lionel Messi, già ambasciatore del turismo saudita, che verrebbe ingaggiato dai rivali cittadini dell’Al Nassr, l’Al Hilal.
Sullo sfondo c’è la probabile candidatura dell’Arabia Saudita per i mondiali del 2030 insieme a Egitto e Grecia. Nel campionato saudita, peraltro, giocano già vecchie conoscenze del calcio europeo come Vincent Aboubakar, Grzegorz Krychowiak, Anderson Talisca e Luiz Gustavo, e di quello italiano come Felipe Caicedo, David Ospina, Banega, Robin Quaison, Aleksandar Trajkovski, Odion Ighalo, Ahmed Hegazi, Bruno Henrique e Naldo.
Anche se per crescere davvero il calcio saudita dovrà cominciare a spedire i suoi giovani migliori in Europa, cosa che finora è riuscito in modo circoscritto (come per gli attaccanti Sami Al-Jaber e Saleh Al-Shehri) o con progetti sovvenzionati come quello con la Liga in vista dei mondiali del 2018 che non ha portato a esperienze significative.
Spesso c’è anche una certa ritrosia dei giovani sauditi ad affrontare la sfida di sgomitare in un club europeo, anche se il ct dei “falchi verdi” Hervé Renard ha osservato che sarebbe importante per renedrli “più professionali”. “Avete bisogno di esperienza, avete bisogno di aprire le vostre menti in una cultura completamente diversa”, li ha esortati il tecnico francese