
Nonostante sia stata l’ancora di salvezza per il mondo del lavoro, oggi lo smart working è tornato ad essere poco praticato
Secondo alcuni fu la chiave di volta che permise all’economia di non fermarsi del tutto durante la pandemia. Ora, invece, dello smart working rimane poco, se non pochissimo. Questo almeno il ritratto che arriva dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) leggendo il quale si scopre che appena il 14,9% degli occupati italiani, su una possibile platea del 40%, sfrutta questa opportunità.
E mentre il mondo intero fa i conti con le varie proposte di settimana breve, il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda sottolinea che «Svolgere una professione teoricamente telelavorabile è una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare lavoro da remoto. I dati ci dicono che la quota del lavoro da remoto varia dal 25% per le professioni intellettuali o esecutive al 2% di quelle non qualificate. Dietro questa distribuzione vi è sicuramente il differente grado di fattibilità del lavoro da remoto nelle diverse professioni, ma anche la differente capacità manageriale di adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro facendo uso delle nuove tecnologie digitali»
Da precisare che l’analisi considera le aziende in proporzione alla loro forza lavoro. Quindi è evidente che in una micro azienda dove ci sono meno di 5 impiegati, ad esempio, alcune mansioni non potranno necessariamente essere portate a termine in remoto. La quota ipotetica dell’84% di lavoratori che non può permettersi il telelavoro, però, scende al 56,4% in quelle realtà lavorative più grandi (tra i 50 e i 249 addetti). Ma anche ragionando in quest’ottica si scopre che solo il 13,3% delle imprese intervistate dall’Inapp ha dichiarato di aver sfruttato l’opzione dello smart working.
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