
Nel 1964 venne creato il Technology transfer program per permettere la diffusione e l’applicazione delle scoperte anche nella vita quotidiana
La NASA non è solo sinonimo di navicelle spaziali e viaggi interplanetari. O per lo meno questa è l’immagine che tende ad avere nell’opinione pubblica. L’Ente spaziale americano, infatti, è un vero e proprio centro di ricerca che si occupa anche dello studio di nuovi materiali e della progettazione e sviluppo di nuove tecnologie e prodotti commerciali. Nel 1964 venne infatti creato il Technology transfer program, programma che si prefiggeva di diffondere tutte quelle nuove scoperte che, nate nel centro di ricerca, potevano trovare applicazione anche nella vita di tutti i giorni.
Ed ecco allora che alcuni oggetti che noi usiamo tutti i giorni, in realtà sono dei progetti che sono nati nei laboratori dell’ente spaziale. Un esempio sono i filtri per l’acqua oppure il più famoso e diffuso memory foam, materiale in grado di assorbire gli impatti tornando nella sua forma originale ma che, se oggi è usato per lo più nei materassi e nei cuscini, originariamente era nato come materiale per assorbire gli urti delle navicelle.
C’è poi il microchip. I primi esempi arrivano dalla Texas Instruments nel 1958, ma la NASA, con il programma Apollo ha capito le potenzialità e ne ha implementato lo sviluppo.
Ma l’esempio più calzante di quanto una grande scoperta scientifica possa essere applicata ad usi diametralmente opposti a quelli per i quali è nata ci arriva dalle palline da golf. Robert Thurman, ex ingegnere dei sistemi spaziali NASA, ha applicato i principi utilizzati dall’analisi dei carichi aerei sul serbatoio esterno dello Space Shuttle all’analisi dell’aerodinamica delle palline da golf. Il risultato è stato una pallina, la Ultra 500, che riesce a mantenere la velocità iniziale più a lungo aumentando la stabilità del tiro.
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