
L’obiettivo del delisting è stato quello di riportare Edf sotto il cappello dello Stato per rilanciarlo
Edf lascia la borsa di Parigi dopo 18 anni con la completa rinazionalizzazione da parte dello Stato francese, che si è conclusa ieri con l’acquisto forzoso delle azioni residue della società ancora in circolazione.
Dopo essere sbarcato sul listino azionario di Parigi nel 2005 a 32 euro (con uno sconto del 20% per i dipendenti), il colosso energetico francese è stato delistato a 12 euro: una forbice che è indice di quanto, oggi, Edf sia la copia sbiadita del campione nazionale ed europeo degli ultimi 20 anni, in cui aveva sviluppato una leadership indiscussa nel nucleare.
A rendere necessario l’intervento di Parigi era stata la situazione di precarietà di Edf, messa in ginocchio dalle ingenti perdite subite dopo che il presidente Emmanuel Macron aveva imposto un tetto ai prezzi dell’elettricità, costringendo Edf ad acquistare forniture a prezzi di mercato più elevati, senza poter trasferire il costo sui consumatori. Questa misura, che normalmente non sarebbe stata particolarmente problematica, ha messo in ginocchio l’azienda che nell’estate del 2022 aveva 12 dei 56 reattori nucleari non operativi. A causa di tali difficoltà, Edf ha chiuso il 2022 con una perdita netta di 17,94 miliardi di euro, contro l’utile di 5,11 miliardi del 2021.
Ora si guarda al futuro. Il governo francese ha intenzione di costruire 6 reattori nucleari pressurizzati (noti anche come EPR2) entro il 2050. In questo modo Edf continuerà a ricoprire un ruolo importante nella fornitura elettrica della Francia, che al momento ricava circa il 70% della sua produzione energetica da fonti nucleari. «Quando ci avviciniamo a un periodo con tante sfide energetiche, avere un unico azionista permette di avere un completo allineamento su una visione a lungo termine», ha detto il nuovo numero uno di Edf, Luc Remont, che a fine giugno presenterà il nuovo piano industriale della società.
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