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Economia

Dazi su auto elettriche cinesi? “No comment” della Ue

Giulia Guidi
19 Giugno 2023
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Momento delicato in Commissione europea per quanto riguarda il commercio con la Cina. Proprio mentre gli Usa tentano il dialogo “Non commentiamo su potenziali inchieste, non facciamo ipotesi su nuovi […]

Momento delicato in Commissione europea per quanto riguarda il commercio con la Cina. Proprio mentre gli Usa tentano il dialogo

“Non commentiamo su potenziali inchieste, non facciamo ipotesi su nuovi casi”. Come riferisce Radiocor, era scontata la risposta della Commissione europea, oggi al briefing con la stampa, alla domanda se a Palazzo Berlaymont sia allo studio un’indagine commerciale che potrebbe sfociare in tariffe sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina sulla quale da giorni circolano voci insistenti e non sono state mai smentite.

Certamente, esponenti politici francesi, a Bruxelles il commissario all’industria Thierry Breton e a Parigi il ministro dell’economia Bruno Le Maire, hanno indicato a chiare lettere di essere favorevoli il primo a un’indagine europea anti dumping contro la Cina e il secondo a non escludere a priori di prendere in considerazione la misura conseguente, i dazi all’importazione.

Dopo che la Ue ha cominciato a rafforzare gli strumenti di difesa commerciale, ora Parigi vuole si passi agli atti concreti. Si teme che auto elettriche cinesi a buon mercato, la cui produzione è sostenuta dai finanziamenti statali, inondino l’Europa. Il modello Seagull del gruppo BYD (Bridge your dream, nella foto) potrebbe essere una delle utilitarie elettriche a prezzo più basso al mondo, si parte da 80 mila yuan, 10.700 euro.

Il timore è largamente diffuso in Europa, dove le case automobilistiche sono impegnate nella corsa alla produzione elettrica a tappe forzate e i governi aprono i rubinetti per finanziare la produzione di batterie nel continente. Tuttavia, si temono contromisure verso gli europei soprattutto in Cina, dove sono enormi gli interessi industriali (nell’auto innanzitutto) tedeschi dai quali dipende molta parte della filiera industriale continentale.

La cautela della Commissione riflette l’equilibrismo della Ue nei rapporti con la Cina: non puntare alla (impossibile) separazione tra le due aree (“decoupling”), ma fronteggiare il rischio della dipendenza da materie prime e rare necessarie per l’industria e la rivoluzione energetica europea (“derisking”); fare barriera contro le intrusioni tecnologiche nelle reti di telecomunicazioni (Huawei e Zte sono state praticamente messe al bando) e limitare i poteri dei grandi azionisti cinesi in gruppi Ue (ultimo il caso Pirelli) senza mettere a rischio la produzione industriale dei gruppi automobilistici tedeschi – e non solo – in Cina.

La cautela di Bruxelles è ancora più evidente nei giorni in cui il primo ministro cinese Li Qiang si trova in Germania, per le consultazioni sino-tedesche, poi proseguirà a Parigi per partecipare al summit per un nuovo patto finanziario globale organizzato dal presidente Macron per rispondere alla sfida dei finanziamenti per contrastare il riscaldamento climatico. E nei giorni in cui gli Usa tentano di riprendere un dialogo con la Cina in relazione alla guerra in Ucraina e alle relazioni globali.

“Anche se non c’è attualmente una soluzione migliore, risulta difficile trovare soluzioni concrete e coerenti sulla base dell’ormai famoso trittico strategico europeo in base al quale la Cina va tratta contemporaneamente come partner, come concorrente e come rivale sistemico a seconda del tema che c’è sul tavolo”, indica una fonte Ue a Radiocor coinvolta nelle discussioni di queste settimane. Nella Ue non c’è accordo sui limiti del “derisking” al di là del principio: dipende dall’esposizione alle importazioni dalla Cina, dal peso delle esportazioni in Cina e dagli insediamenti produttivi europei in Cina.

Domani la Commissione europea presenterà una comunicazione sulla “sicurezza economica”, che costituirà la base per una discussione tra i 27 leader Ue al Consiglio europeo di fine mese: sarà l’occasione per verificare come intende muoversi prossimamente la Ue e il livello di consenso possibile tra gli stati membri.

Recentemente il “ministro” degli esteri Ue Josep Borrel aveva sintetizzato così la questione del “trittico”: “Occorre aggiustare i pesi relativi fra i tre elementi e questo aggiustamento dipende in gran parte dal comportamento della Cina e dal tema in questione. La scelta dei ministri degli esteri è che dobbiamo continuare a dialogare con la Cina ove possibile e nello stesso tempo ridurre i rischi e le vulnerabilità strategiche ricalibrando la nostra posizione su tre gruppi di questioni: valori, sicurezza economica e sicurezza strategica”.

La sicurezza economica è già entrata in tensione con la sicurezza strategica, tuttavia la Ue non può che cercare una “terza via” per mantenere aperti i mercati. Nel documento che presenterà domani la Commissione, ci si aspettano alcune indicazioni se non proprio nuove almeno più precise di quelle attuali. Intanto sul controllo più puntuale degli investimenti europei in uscita e sulle esportazioni per evitare che tecnologie di punta possano essere utilizzate dalla Cina per obiettivi militari (la cosiddetta tecnologia “dual use”), ma anche che nuove tecnologie di frontiera indipendentemente dal “dual use” possano aiutare la Cina a salire ancor più rapidamente la scala tecnologica. Questa è materia di competenza nazionale e, infatti, sono i governi a tenere in mano il “pallino” (recente il caso dell’Olanda per lo stop alla vendita alla Cina dei macchinari per la litografia ultravioletta, in sostanza gli « stampi » per i semiconduttori). Bruxelles cerca di attribuirsi un ruolo chiave.

Un paio di mesi fa la presidente della Commissione von der Leyen aveva annunciato che è giunto il momento di “essere più assertivi nell’usare gli strumenti che ci siamo dati per affrontare i problemi di sicurezza e le distorsioni economiche”. Uno dei nuovi strumenti è il meccanismo anti-coercizione, che permette alla Ue di adottare contromisure (dazi, restrizioni commerciali o misure sugli appalti pubblici) verso i paesi terzi, che cercano di fare pressione sugli stati membri o sulle istituzioni europee affinché servano i loro interessi.

Uno strumento da usare è quello sugli appalti internazionali per limitare l’accesso agli appalti pubblici Ue alle aziende non europee i cui governi non consentono alle imprese europee di partecipare alle loro gare d’appalto pubbliche. Secondo alcune indiscrezioni, la Commissione sta ragionando se ci sono le condizioni per usare questo strumento per il caso di dispositivi medicali soggetti a discriminazione in Cina. E si starebbe occupando anche del settore ferroviario cinese.

Bruxelles stima che metà del mercato globale degli appalti sia attualmente chiuso agli offerenti stranieri e che un maggiore accesso potrebbe più che raddoppiare le esportazioni di appalti della Ue aggiungendo 12 miliardi di euro agli attuali 10 miliardi di euro di esportazioni (appalti vinti da società della Ue all’estero).

Gli ostacoli comuni incontrati dalle imprese Ue sono: mancanza di trasparenza (nessuna pubblicazione online di avvisi o procedure frammentate), un requisito per lo stabilimento nazionale come joint venture (Cina, Indonesia) o stabilimento locale (Brasile, Indonesia); requisiti di origine locale (India 50 %, Indonesia 50 %); la politica “buy Chinese” (esattamente come il “buy American” statunitense); esclusione da importanti progetti di appalti pubblici (a la diga delle Tre gole, il Nido d’uccello e altre sedi olimpiche del 2008 in Cina).

Von der Leyen ha parlato di strumenti aggiuntivi per garantire che il capitale delle società Ue e il loro know-how non siano utilizzate per migliorare le capacità militari e di intelligence “di coloro che sono anche i nostri rivali sistemici”. Come la Cina. La presidente della Commissione aveva espressamente indicato “le lacune nella nostra cassetta degli attrezzi che consentono la fuoriuscita di tecnologie emergenti e sensibili attraverso investimenti in altri paesi”. Lo strumento per gli investimenti in uscita riguarderebbe un numero molto ridotto di tecnologie molto sensibili.

(foto WIKIPEDIA)

  • auto elettriche
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