Si tratta di pratica comune in Amazzonia con il nome di terra preta de índio
I cambiamenti climatici stanno avendo un impatto spesso devastante sull’agricoltura e sulla resa del suolo. Infatti a causa delle tempeste e della siccità potrebbe essere a rischio il 10% della produzione agricola mondiale entro il 2050 secondo quanto reso noto dall’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura (Fao) delle Nazioni Unite.
Un problema per risolvere il quale, purtroppo, le misure adottate per limitare l’emissione dei gas serra non servono perché è necessario rimuovere quelle già presenti nell’aria e contemporaneamente ricostituire gli elementi presenti nella terra. Per fare entrambe le cose i ricercatori hanno preso ispirazione da una pratica comune in Amazzonia con il nome di terra preta de índio e da loro ribattezzata biochar. Si tratta di una sorta di terriccio creato da elementi come carbone, scarti di animali e pezzi di ceramica. Inizialmente le popolazioni indigene sfruttavano questa strategia per favorire la fertilità del suono della foresta vergine ma i ricercatori si sono accorti che favorisce anche il riassorbimento di miliardi di tonnellate di anidride carbonica presenti nell’aria.
Ed è per questo motivo che si vorrebbe estenderne lo sfruttamento in modo da potenziarne gli effetti abbattendone i costi che, allo stato attuale, sono un ostacolo per la sua diffusione. Infatti la tecnica della biochar permette anche la fertilizzazione del terreno favorendone la rigenerazione soprattutto in casi di terreni esausti dopo anni di monocolture, ipersfruttati oppure distrutti e impoveriti da siccità o alluvioni. Inoltre la CO2 assorbita sembra essere rilasciata nell’ambiente in maniera molto più lenta rispetto a quanto fanno solitamente le comuni biomasse finora utilizzate.
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