L’analisti presentata in audizione davanti alle commissioni riunite bilancio di Senato e Camera del presidente Istat Chelli
«In base alla stima preliminare diffusa il 31 ottobre, il Pil dell’Italia nel terzo trimestre è rimasto stazionario rispetto ai tre mesi precedenti. A risultare stabile è anche la dinamica tendenziale, interrompendo una crescita che durava da dieci trimestri consecutivi». Lo afferma in audizione davanti alle commissioni riunite bilancio di Senato e Camera il presidente Istat Francesco Maria Chelli.
«La variazione congiunturale del Pil – spiega Chelli – è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto dell’agricoltura, una crescita dell’industria, dopo quattro trimestri consecutivi di calo, e una sostanziale stabilità nel settore dei servizi. Dal lato della domanda, si registra un contributo negativo della componente interna al lordo delle scorte e un contributo positivo di quella estera netta».
«Secondo le stime effettuate con il modello di microsimulazione per la tassazione societaria (Matis) dell’Istat, le misure fiscali indicate nel decreto legislativo avrebbero nel complesso effetti di cassa negativi sulle imprese, con una maggiorazione del prelievo Ires che raggiungerebbe il 10,5% nel 2024” prosegue Chelli. L’Istat rileva che la eliminazione dell’Ace “riporta ai livelli precedenti al 2011 lo svantaggio fiscale del ricorso al capitale proprio rispetto al debito (+2,5 punti percentuali). È importante ricordare – si aggiunge – che misure a favore del capitale proprio simili a quelle adottate in Italia costituiscono parte integrante della proposta di direttiva comunitaria sulla tassazione comune delle imprese». Per l’Istat, “le imprese che avrebbero un aggravio d’imposta per effetto della eliminazione dell’Ace rappresentano il 25,6% del totale delle unità considerate».
«Le imprese colpite dal provvedimento risultano più numerose tra quelle manifatturiere (33,5%), e in particolare tra le appartenenti a settori a più elevata intensità tecnologica, quelle appartenenti ai servizi di pubblica utilità, nei servizi ad alta intensità di tecnologia e conoscenza e nei servizi di mercato – prosegue l’Istituto -. La percentuale delle perdenti aumenta con la dimensione dell’impresa (quasi una su due tra le imprese con oltre 2 milioni di fatturato), è più elevata tra le imprese più solide (42,5% per le imprese con indicatore Isef ‘in salute’) e con elevato grado di dinamismo, tra le imprese in gruppo nazionale e internazionale, quelle localizzate nelle regioni settentrionali e tra le esportatrici».
Inoltre l’Istat rileva che il prelievo Ires addizionale risulta pari al 13,7%, con quote più elevate per le imprese del settore dei servizi ad alta tecnologia (21,2%) e per le imprese con indicatore sulla sostenibilità economica e finanziaria ‘a rischio’ (40%) e ‘fortemente a rischio’ (26,8%)».
Infine, l’Istituto di statistica rileva che la «introduzione della deduzione del costo del lavoro per incremento occupazionale avvantaggerebbe una percentuale ristretta delle imprese appartenenti ai settori produttivi, pari al 5,9%. Quote più elevate si osservano per le imprese della manifattura, dei servizi ad alta intensità di tecnologia e conoscenza (7,4%) e al crescere della dimensione aziendale sia in termini di fatturato sia di addetti. La riduzione del prelievo Ires raggiunge il 3,1% ed è più elevata per le imprese dei servizi ad alta intensità di tecnologia e conoscenza, le imprese ‘fragili’ e per quelle appartenenti alle classi dimensionali intermedie, con classe di fatturato compreso tra 500mila e 10 milioni di euro, o tra i 10 e i 50 addetti».
La «super-deduzione dalla base imponibile delle imposte sul reddito d’impresa – si rileva ancora – sarebbe immediatamente e pienamente fruibile solamente per le imprese con base imponibile capiente”»
Tuttavia il taglio del cuneo fiscale previsto dal Ddl di bilancio «interessa circa 12 milioni di famiglie (oltre il 45% del totale) e in circa il 25% dei casi i destinatari dell’intervento sono due o più membri della famiglia”.
L’Istat ha analizzato tre scenari. Nel primo (rispetto all’assenza della misura nel 2024), al netto della maggiore imposta, ci sarebbe «un aumento di reddito disponibile per il 2024 stimato in media in 934 euro annui per famiglia, mentre a livello individuale la decontribuzione netta ammonta a 714 euro annui».
Nel caso di confronto con lo scenario vigente per il 2023 (che vede un taglio ma in misura minore) lo sgravio contributivo «genera un aumento della decontribuzione netta, e quindi del reddito disponibile, pari in media a 284 euro per famiglia e a 215 euro a livello individuale».
Nella terza simulazione, infine, in cui si considerano congiuntamente lo sgravio contributivo e la riforma Irpef 2024, confrontandoli ad uno scenario senza decontribuzione e con l’Irpef vigente, «si stima una decontribuzione netta pari in media a 1.112 euro annui per ciascuna famiglia e a 800 euro annui a livello individuale».
(foto IMAGOECOMICA)