
Le due superpotenze sono realtà che rischiano di scontrarsi su molti fronti
A volte, quando si parla di Cina e Stati Uniti, si usa il termine di “Nuova guerra fredda”. Ma è proprio così? Indubbiamente le due superpotenze sono realtà che rischiano di scontrarsi su molti fronti, per questo motivo è sempre più necessaria una pacifica convivenza. Ma come? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Bergonzi Financial markets content specialist di Investing.com.
Il recente viaggio di Janet Yellen in Cina e quello, ancora più recente, di Xi Jinping negli Stati Uniti, hanno avuto il compito di riavviare i rapporti tra le due nazioni. Smentite, dunque, le ipotesi di una nuova guerra fredda?
«Prima dell’incontro con Biden, Xi Jinping ha detto che ci sono mille ragioni per migliorare le relazioni USA-Cina e nessuna per peggiorarle. Penso che questa frase riassuma bene la necessità dei due giganti di non passare dalla competizione al conflitto. Si tratta di due superpotenze obbligate a cooperare perché lo scontro non converrebbe a nessuno».
Tra Washington e Pechino esiste un intenso rapporto commerciale che non può essere sradicato come dichiarato dallo stesso presidente Xi. Eppure le ultime decisioni di Washington riguardanti le restrizioni sull’export in Cina di alcuni prodotti, tra cui i microchip, farebbe pensare diversamente. Possiamo fare chiarezza sulla situazione?
«Stati Uniti Cina e sono legati mani e piedi l’uno all’altra. Anche se dopo il Covid la tendenza della Repubblica popolare è stata quella di vendere i titoli Usa, ad oggi la Cina detiene ancora 850 miliardi di dollari del debito americano.
La stessa Yellen ha parlato di “significative ripercussioni globali” che potrebbero derivare da un eventuale decoupling, ovvero il disaccoppiamento delle due economie. Stiamo parlando di una relazione commerciale da 700 miliardi di dollari che rende economicamente interdipendenti i due Paesi. Certo, la competizione è naturale. Gli Stati Uniti hanno interesse a difendere la loro leadership e laddove possono cercano di ostacolare l’ascesa cinese».
Secondo alcuni la Cina avrebbe iniziato una “guerra delle materie prime” puntando su Africa e America Latina. Cosa c’è di vero in tutto questo?
«Sono territori fondamentali per la Cina per crearsi un vantaggio competitivo e avvicinarsi alle sfere d’influenza degli Stati Uniti. In Africa, soprattutto, la Cina ha avuto l’intelligenza e la capacità di arrivare prima degli altri. È una terra dalle enormi potenzialità economiche, ricca sia dal punto di vista delle materie prime che da quello demografico. Inoltre, rappresenta il ponte per raggiungere Europa e oceano Atlantico, due territori di dominio Usa. L’unica strada percorribile al momento, visto il fallimento della via della seta e della crisi tra Russia e Occidente».
Lo yuan sostituirà, anche solo in parte, il dollaro nel commercio internazionale?
«Affinché questo avvenga ci dovrebbe essere uno sconvolgimento geopolitico epocale. Il dollaro ha conquistato il mondo in seguito alle due guerre mondiali, grazie all’affermazione della superiorità militare degli Stati Uniti e la ricostruzione post-bellica finanziata con il piano Marshall. Pechino tutt’oggi non gioca il ruolo degli Stati Uniti a livello globale. Gli Usa controllano i mari e i mercati e la Cina attualmente non ha credibilità e potenza per competere. Ci sta lavorando, appunto, con la penetrazione commerciale in territori strategici e con la leva demografica. Il vantaggio cinese è quello di avere una visione di lungo periodo, cosa ormai impossibile in Occidente».
Per quale motivo i rapporti tra Washington e Pechino influenzano così tanto i mercati a livello globale?
«Mentre l’Unione sovietica proponeva un sistema economico e sociale diverso da quello occidentale, la Cina ha accettato le regole del capitalismo sfruttandole e proprio favore. Per questo, la sfida tra le due superpotenze che si contendono il mondo oggi è aperta anche sui mercati dei capitali, dove la Cina negli anni ha saputo crescere colossi finanziari le cui mosse influenzano l’economia mondiale».
C’è il rischio che l’Europa e l’Italia possano ritardare il passaggio all’elettrico a causa di una dipendenza della Cina che tende a privilegiare lo sviluppo delle sue aziende? La stessa Commissione Europea ha criticato Pechino a causa dei finanziamenti di stato alle sue aziende nel settore tecnologico, dalle auto ai microchip.
«Mentre l’Europa critica, le aziende si stanno già muovendo. Del resto, non possono permettersi di aspettare i tempi della politica altrimenti falliscono. L’ultimo esempio è quello di Stellantis che tra ottobre e novembre ha prima acquistato il 20% di Leapmotor, casa automobilistica cinese che produce veicoli elettrici, e poi stretto un accordo con Catl per la fornitura delle batterie. Allo stesso modo, però, la Cina ha bisogno dei mercati occidentali per continuare a crescere e qui arriva il punto d’incontro che rende necessaria la cooperazione».
È proprio su questo aspetto, conclude Bergonzi, che la politica può e deve trovare la forza e le idee per difendere le proprie industrie dalla concorrenza».
FOTO: SHUTTERSTOCK