Per Starbucks si tratta di semplice gestione dell’attività
Un’altra multinazionale statunitense ha problemi con il sindacato. Sotto i riflettori, questa volta, c’è Starbucks la catena di caffetterie che avrebbe chiuso 23 negozi come risposta alla loro sindacalizzazione. Una decisione che dovrà essere radicalmente rivista, secondo quanto deciso dalla National Labor Relations Board, agenzia federale statunitense che si occupa di monitorare l’applicazione dei contratti collettivi. Da qui l’obbligo imposto alla multinazionale di riaprire i punti vendita chiusi.
Diversa, invece, la ricostruzione di Starbucks secondo cui si tratterebbe di chiusure dettate dalla «normale gestione dell’attività» che porterebbe, ogni anno, a rivedere la presenza o meno di negozi su alcuni specifici territori.
Un punto dolente, quello dell’organizzazione dei lavoratori che a suo tempo il ceo Howard Schultz aveva apertamente definito come una minaccia. Posizione particolarmente dura che, però, si è ammorbidita con l’entrata nel ruolo di Laxman Narasimhan il quale, invece, ha preferito adottare un’altra strategia di comunicazione preferendo la formula del «prendersi cura del personale a contatto con i clienti».
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